Alien: Isolation – la recensione

Dopo una lunga attesa e tanti momenti di prova parziale, eccoci giunti alla resa dei conti con uno dei titoli più attesi non solo dai fan della serie cinematografica lanciata da Ridley Scott nel 1979 (e io sono tra questi; anzi, tra i più estremi), ma anche da tutti i cultori dell’horror interattivo. Alien: Isolation, sviluppato dal team britannico The Creative Assembly, parte da una premessa affascinante, ed elabora direttamente il concetto sotteso al primo Alien di Ridley Scott: un solo alieno, nessuna via di fuga. Quasi tutto il suo impianto di gameplay, infatti, è costruito intorno a questa dinamica, che si manifesta nel level design e nell’intelligenza artificiale dell’alieno. Al di là di queste componenti caratterizzanti del gioco, la campagna principale è un’avventura in prima persona, con qualche elemento action e un notevole focus sullo stealth. Ci sono anche degli enigmi minori, che vi richiederanno perlopiù di recarvi in una determinata location o raggiungere un personaggio, una sfida spesso ostica considerata la struttura labirintica della nave spaziale Sevastopol.
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Alien Isolation è un gran bel gioco: originale, solido, appassionante e di grande atmosfera.

Lo scopo del gioco, tuttavia, rimane sempre imperniato sulla sopravvivenza. Basta mattanze facili a suon di fucili a impulsi: Alien Isolation restituisce piena dignità allo xenomorfo, dipingendolo come un’entità estremamente letale, programmata dalla natura per la supremazia sul territorio di caccia. La bestia è modellata nell’aspetto e nel comportamento sulla base della sua controparte del primo Alien, con cui condivide anche lo stesso livello di acume e spietatezza. The Creative Assembly sfrutta tutta la sua esperienza nel creare sistemi complessi e avversari dotati di lucido raziocinio per dare vita a una creatura genuinamente in grado di sorprendervi. Non fate il madornale errore di scambiare Alien: Isolation per l’ennesimo gioco “screamer” in stile Outlast o Slender. Nossignore, sarebbe un gravissimo torto: siamo piuttosto di fronte a una vera e propria partita a scacchi con la morte, una sfida strategica tra gatto e topo, dove il più delle volte finirete per sentirvi soverchiati. Il gioco non punta quindi a farvi saltare sulla sedia di tanto in tanto, ma riesce a distillare un puro senso di pericolo e terrore che vi pervaderà per tutta la durata dell’esperienza. Il vostro avversario è una presenza che incombe e mette a repentaglio la vostra incolumità, anche quando non potrete fisicamente vederlo. Figuratevi quando apparirà un puntino sul rilevatore di posizione!
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Gran parte del gioco, non a caso chiamato Isolation, lo passiamo come preda solitaria, impegnata solo nella sfida per la sopravvivenza con lo spietato xenomorfo.

Potete immaginare, quindi, che cosa voglia dire giocare Alien: Isolation con Oculus Rift, esperienza che abbiamo avuto modo di provare nelle ultime fiere internazionali del settore. Anzi, sapete una cosa? Riformulo. No, non potete immaginarlo se non lo avete sperimentato in prima persona. Eh già, Alien Isolation in realtà virtuale rappresentava un’esperienza ai limiti dell’insostenibile. Il perché è presto detto. Innanzitutto, il mondo retro-fantascientifico è stato ricostruito in maniera talmente fedele che il senso di presenza è assicurato: il vostro cervello sarà ingannato, e crederete realmente di essere dentro i claustrofobici tunnel della Sevastopol. In VR, infatti, tutto acquista un senso diverso, le proporzioni dell’ambiente diventano reali e tangibili; inoltre, grazie al DK2, ci si poteva sporgere da una copertura semplicemente inclinando in avanti il corpo. Sentire le falcate dell’alieno che si avvicina, girarsi fisicamente e vedere le sue fauci a pochi centimetri di distanza dalla faccia, un attimo prima di guardarsi l’addome e vedere che è stato trafitto dalla coda del mostro… be’, è davvero sconvolgente. Come dire? Forse è un bene che Oculus Rift non sia ancora sul mercato!

Siamo forse di fronte al sogno (incubo) di ogni appassionato di Alien? In gran parte sì, ma… non del tutto.

Chiusa questa parentesi, torniamo a parlare del gioco “regular” e, in particolare, dell’IA che, come sappiamo, è in fondo una questione di illusione. The Creative Assembly, nel generare lo xenomorfo, ha quindi miscelato insieme con cura elementi scriptati e comportamenti emergenti, dandovi la sensazione che il vostro avversario non solo sia più forte di voi, ma impari nuovi tattiche nel corso del tempo. Se pensate di imbrogliarlo, rimarrete il più delle volte delusi: lo xenomorfo non segue un percorso prestabilito, e non vi basterà dunque infilarvi in un luogo lontano dalla sua visuale per sfuggirgli. Un solo, piccolo rumore e Alien individuerà la vostra presenza, partendo al vostro inseguimento.
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Alien Isolation in realtà virtuale rappresentava un’esperienza ai limiti dell’insostenibile.

Anche la gestione dell’inventario è un elemento di design che contribuirà a farvi sentire sempre sull’orlo del collasso nervoso. Dovrete infatti perlustrare la nave alla ricerca di materiali che, grazie al sistema di crafting vi permetteranno di costruire kit medici, granate o molotov. La scarsità di tali materiali impone che fino alla fine del gioco sarete sempre e comunque impreparati ad affrontare la minaccia, e tutto quello che potrete fare è difendervi alla bell’e meglio. Persino le batterie della torcia sono limitate, per cui avrete sempre l’ansia di rimanere senza luce nei momenti più delicati.

Lo xenomorfo non segue un percorso prestabilito, e non vi basterà dunque infilarvi in un luogo lontano dalla sua visuale per sfuggirgli.

Nonostante la sua primaria importanza, lo xenomorfo non è l’unico nemico del gioco: troverete anche degli umani, che potrete il più delle volte uccidere furtivamente. In realtà questo è uno degli elementi più deboli del gioco, soprattutto per via del sistema di salvataggio, che vi richiederà di ricominciare daccapo una sequenza furtiva durata anche parecchi minuti. Certo, ci sono tre livelli di difficoltà, ma ciò non basta, e il risultato può essere, a tratti, un fastidioso senso di noia derivante dalla reiterazione prolungata delle stesse sequenze di gioco. Più interessanti sono invece gli incontri con i sintetici (gli androidi di Alien), già di per sé molto inquietanti per via delle loro fattezze inanimate; questi esseri si trascineranno lentamente, risultando ben più resistenti ai vostri colpi delle loro controparti umane. La cosa più importante da notare sui nemici diversi dall’Alien è che, a differenza della maggior parte dei giochi, non sono inseriti in orde per “drogare” la durata del gioco, ma sono piuttosto distribuiti consapevolmente per accrescere il senso di paura.

Un’ultima menzione va al comparto tecnico, che nella versione PC si esprime al meglio anche su configurazioni non di fascia altissima. E non è necessario un sistema costoso e di ultima generazione per impostare il dettaglio su Ultra, dove Alien Isolation dà il meglio di sé proponendo ambientazioni ricche di dettagli che letteralmente vi proietteranno a bordo della stazione spaziale Sevastopol. Una cura particolare è stata ovviamente riservata all’alieno, ricostruito con dovizia di particolari sia nell’aspetto che nelle movenze, al punto che ogni “incontro ravvicinato” non vi risparmierà brividi di terrore…
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Se il titolo SEGA fosse stato scritto davvero ad arte, come avrebbe meritato, saremmo al cospetto di un’opera realmente adulta e sensazionale.

E dunque? Siamo forse di fronte al sogno (incubo) di ogni appassionato di Alien? In gran parte sì, ma… non del tutto. E non certo per i difetti segnalati durante questa recensione, che reputo non essenziali e quindi, fondamentalmente perdonabili. No, il punto è un altro… ed è la narrazione. In un titolo che punta così tanto sul feeling cinematografico e sull’immergere il giocatore in una storia fantahorror tesa e spaventosa, la cura per la pura qualità della narrazione avrebbe dovuto essere ben maggiore. Prendiamo l’incipit del gioco. Dopo titoli davvero di classe, apriamo con la Compagnia che informa Amanda del ritrovamento dei dati che potrebbero far luce sulla scomparsa della madre. Poi la proposta: vieni con noi. Nulla di strano, direte. Certo, se non fosse che il tutto avviene immediatamente, senza costruire il setting, senza dare spessore alla protagonista. Idem per il breve viaggio a Sevastopol e per l’incidente. E non dico questo per la carenza di un’interprete del calibro di Sigourney Weaver, ma proprio per il livello basso della sceneggiatura, che ci propone dialoghi (e fa male dirlo, credetemi) proprio “da videogiochi”, non da film di qualità. Meno male che gran parte del gioco, non a caso chiamato Isolation, lo passiamo come preda solitaria, impegnata solo nella sfida per la sopravvivenza con lo spietato xenomorfo. Tutto, a quel punto, diventa quasi perfetto e il gioco decolla.
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Peccato, però, perché se il titolo SEGA fosse stato scritto davvero ad arte, come avrebbe meritato, saremmo al cospetto di un’opera realmente adulta e sensazionale, un piccolo grande capolavoro di tensione e orrore spaziale. Half-Life, del resto, è del 1998: verrebbe da sperare che la sua lezione sia stata ormai imparata da tutti. Peccato doversi continuamente ricredere.
Appunti sulla narrazione a parte, Alien Isolation è un gran bel gioco: originale, solido, appassionante e di grande atmosfera. Se poi nella vostra vita, come nella mia, lo xenomorfo di Giger ha sempre rivestito un ruolo di primo attore, questo titolo, grazie alle sue ambientazioni e al suo stile retro sci-fi, acquisirà lo status di pietra miliare immancabile nella vostra collezione.

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