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Beyond: Due anime – la recensione

Le intuizioni di David Cage hanno permesso al videogioco di elevarsi come medium, dando vita a esperimenti narrativi memorabili, come il The Walking Dead di Telltale. C’è da dire che Cage, tuttavia, non è finora mai riuscito con i suoi giochi a raggiungere quei picchi, per colpa principalmente di una scrittura davvero raramente all’altezza. E alla scrittura, si sa, non si può sopperire con un makeover grafico.
Dal punto di vista tecnico, Beyond: Due Anime per PlayStation si presenta indubbiamente in grande spolvero, anche perché la base di partenza era già eccellente: la tecnica di motion capture usata per il gioco gli permetteva, infatti, di sfoggiare una performance attoriale davvero notevole. Il remastered passa una mano di vernice su tutto il pacchetto, a partire dai modelli poligonali di Ellen Page e Willem Dafoe, che sono stati arricchiti di dettagli.

Nell’edizione per PlayStation 4 sono stati potenziati anche i modelli dei comprimari, soprattutto per quanto riguarda le texture della pelle. Non solo, anche le loro espressioni ora sono più naturali, limando quell’effetto “uncanny valley” (la sensazione di straniamento che si avverte guardando un modello 3D umano) che penalizzava l’originale. E risulta parzialmente risolto anche uno dei principali difetti dell’edizione PlayStation 3, ossia lo stacco tra i personaggi e l’ambiente circostante, semplificato al massimo per spostare le risorse sui modelli dei protagonisti. Ora, fortunatamente, la differenza si avverte in maniera meno netta, per quanto il gioco tradisca sempre le sue origini old-gen. Dove però la remastered sfoggia davvero i muscoli è nel comparto dell’illuminazione: ora la luce si diffonde infatti in maniera molto più realistica, così come le ombre, tanto nelle scene di interni che di esterni. Stesso discorso anche per gli effetti particellari, soprattutto quelli legati allo spirito Aiden, molto gradevoli da vedere.

Dal punto di vista tecnico, Beyond: Due Anime per PlayStation si presenta indubbiamente in grande spolvero

I cambiamenti al gameplay sono invece minimi: sono stati leggermente modificati i Quick Time Event degli scontri, ora più “fisici” e più impegnativi, anche se l’impianto di base rimane sostanzialmente invariato. D’altronde, se acquistate un gioco di David Cage sapete bene che vi troverete di fronte moltissimi QTE, spesso con combinazioni di tasti davvero astruse (e in questo senso è davvero un’occasione mancata non aver sfruttato il touchpad di PlayStation 4, che avrebbe semplificato, e non di poco, l’esperienza).

Anche a livello di storytelling non si riscontra alcuna differenza rispetto all’originale, anche se è stata introdotta la possibilità di vivere gli eventi dell’avventura in ordine cronologico, piuttosto che tramite il montaggio sincopato di Cage. A dirla tutta, il modo in cui i vari punti del plot erano presentati era simpatico, e mascherava la banalità di fondo dell’intreccio, per cui non vedo un vero motivo per cui bisognerebbe togliere anche questa prerogativa al lavoro originale. La scelta, tuttavia, ora è nelle vostre mani. Inoltre, adesso viene presentato anche un recap delle scelte che avete intrapreso, con la possibilità di accedere alle statistiche delle scelte intraprese dagli altri giocatori.

Quantic Dream avrebbe dovuto approfittare del touch pad di Dual Shock 4 per migliorare i QTE

E passiamo, dunque, senza procrastinare oltre, al vero “elefante nella stanza”, come direbbero i nostri colleghi americani, ossia la narrazione, che è anche l’unico elemento impossibile da rimasterizzare. Le intenzioni di Cage sono sicuramente buone, e ci sono, non lo si può negare, dei momenti toccanti. La vicenda in sé, del resto, ha potenziale, fascino e atmosfera: stiamo vivendo la vita di una ragazza costretta fin da piccola ad avere un partner

ectoplasmico, e solo alla fine della storia verrà svelato il mistero di questo invisibile quanto ingombrante compagno. Tuttavia, Cage si perde innanzitutto nella scrittura, davvero inadeguata. Vi basterebbe fare un confronto con una qualsiasi serie TV, anche tra le più scadenti, per rendervi conto che il problema risiede proprio nella costruzione dei dialoghi o, per meglio dire, nell’assenza di tale costruzione. C’è la sensazione che Cage abbia preso una serie di film che gli piacevano e li abbia rielaborati in un unico pastiche. Riconoscere le influenze è semplice anche per chi ha una cultura cinematografica basilare: si va da “Carrie: Lo sguardo di Satana” fino a “Fenomeni paranormali incontrollabili,” ma il problema è che non c’è una vera e propria rielaborazione, bensì una semplice riproposizione di cliché già visti e abusati. Cage si è limitato a trasportare in forma interattiva situazioni già viste in decine di pellicole, credendo probabilmente che la novità di presentare certe tematiche in un videogioco sarebbe bastata a sostenerlo. Non è andata così.

Cage si è limitato a trasportare in forma interattiva situazioni già viste in decine di pellicole

Ed è un vero peccato, perché aveva per le mani attori del calibro di Willem Dafoe ed Ellen Page, tuttavia visibilmente svogliati, e palesemente intenti a chiedersi come mai fossero finiti a recitare indossando quelle ridicole tutine. Con questo non voglio dire che Beyond sia un totale disastro, anzi, probabilmente la sua narrazione è sopra la media per un prodotto interattivo, ma questo è tutt’altro che un complimento, se consideriamo il livello delle storie nei videogiochi. Esiste la possibilità che la vicenda di Jodie Holmes faccia “click” nel vostro animo, non lo nego, soprattutto se non siete abituati ad altre esperienze narrative. Per tutti gli altri, il consiglio è di recuperare piuttosto altri titoli che hanno ripreso, sviluppandola meglio, la comunque brillante intuizione di David Cage e dello storytelling interattivo.

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