Anche voi trovavate insopportabile che Call of Duty venisse tirato in ballo a ogni atto di violenza? Ecco, adesso non si parla più di CoD: questo è il videogioco per killer.
Per chi non ha mai toccato un pad in vita sua o per tutti quelli che non sanno riconoscere il rumore che riesce a fare una tastiera nei momenti più frenetici degli scontri multiplayer, i videogiochi sono un passatempo che se va bene viene ignorato, perché tanto è roba da bambini, nella peggiore delle ipotesi viene invece additato come fonte di tutti i mali.
E noi puntualmente, quando qualcuno decide di portare avanti queste idee, proviamo a far notare che la violenza umana non scaturisce dai videogiochi. E non può essere soprattutto sempre colpa dello stesso videogioco. Eravamo pronti anche stavolta ma, a quanto pare, nessuno se l’è presa con Call of Duty: il colpevole è un altro!
Se diventi un killer non è più colpa di Call of Duty?!
In alcune parti del mondo forse c’è effettivamente un problema che riguarda l’utilizzo delle armi da fuoco per risolvere le proprie questioni personali. Ansia, rabbia, frustrazione che non viene canalizzata nella maniera corretta generano mostri.
Mostri che rimangono in silenzio fino a quando la misura è colma. E di solito, almeno nel passato, quando per esempio finivamo col vedere i servizi parlare delle stragi nelle scuole americane, puntualmente si andava a guardare a quello che i killer improvvisati facevano online e saltava fuori che giocavano a Call of Duty. Il passaggio mentale che fosse colpa del gioco Activision diventava un automatismo. In barba al principio scientifico che coesistenza e correlazione non sono la stessa cosa.
E dimenticando che probabilmente i killer giocavano a Call of Duty perché nel mondo ci sono miliardi di persone che ogni giorno giocano a Call of Duty. Ma adesso sembra che questa narrazione debba essere rivista e corretta. Luigi Mangione, identificato e catturato dalla polizia del Jersey come presunto killer del CEO di una delle più grandi compagnie assicurative americane, non giocava a Call of Duty. (Dentro cui c’è anche un convinto pacifista, guarda un po’.)
In realtà era un giocatore di Among Us. Oltre ad avere per esempio un Pokémon nella sua immagine profilo. Vogliamo adesso provare ad additare Among Us e i Pokémon come causa del comportamento di questo 26enne?
Among us di certo potrebbe essere considerato un gioco che in un certo senso è violento ma la violenza è talmente tanto trasformata in un cartone animato che difficilmente si può associare a una qualche forma di training come invece tanti hanno provato a fare più volte con Call of Duty che, nel suo realismo spasmodico, sembrava invece il capro espiatorio ideale.
E adesso che continuano ad emergere dettagli su quella che è la vita privata del presunto killer del CEO di UnitedHealthcare, scopriamo che lo stesso Mangione è per esempio stato coinvolto per un breve periodo di tempo nel lavoro che Firaxis ha fatto per Civilization 6. Un altro titolo che, neanche trascinandolo in ceppi, potrebbe essere additato come causa della violenza.
Sarà forse allora che è proprio l’idea che i videogiochi generino violenza che va scardinata? O vogliamo provare a pensare che con Among Us si diventa un killer imprendibile, con i Pokémon un letale domatore di bestie da circo e con Civilization 6 magari il prossimo dittatore planetario?