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Dark Souls II: Scholar of the First Sin – la recensione

Si può migliorare l’eccellenza? La risposta è: assolutamente sì. Dark Souls II: Scholar of the First Sin prende un gioco già estremamente lodevole, e lo esalta in tutti i suoi aspetti, donandogli un’unità stilistica che non era possibile nella versione originale. La sfida più grande che si poneva questa remastered era offrirsi a dei giocatori che avessero già spolpato Dark Souls II, evitando quindi una sensazione di già visto. Ma, state tranquilli, perché non potrete adagiarvi nella comodità e fare i gradassi, forti della vostra esperienza: a ogni angolo potreste incontrare un nuovo nemico, non presente nella versione originale, oppure sarete attaccati con una tattica diversa rispetto a quella a cui eravate abituati. Dei nemici che prima erano solo delle minacce occasionali ora pullulano all’interno dei livelli e, che sia la prima volta che giochiate o stiate invece affrontando per la seconda volta il gioco, avrete di fronte un’esperienza nuova.

La magistrale art direction di Dark Souls II ha modo di brillare fulgidamente grazie alla sua ricostruzione, possibile grazie a nuove texture in alta risoluzione.

Come se non bastasse, se visiterete degli stage a un livello più alto, il più delle volte troverete dei nemici con una rinnovata ostilità; non avrete nessun appiglio: gli oggetti o i mercanti su cui facevate affidamento, con tutta probabilità hanno cambiato location, spingendovi quindi ad affrontare l’esperienza con la stessa attenzione con cui l’avete affrontata la prima volta. Non si tratta di una semplice remaster, quanto più di un remix, che cambia completamente le carte in tavola. La posta in gioco della sfida viene alzata ulteriormente; prendete per esempio le Corone: ora non appariranno più da sole all’interno dell’inventario ma, per trovarle, dovrete andare a scandagliare le stanze più pericolose del gioco.

Da citare certamente il nuovo sistema di illuminazione, riscritto per dare un’atmosfera più cupa che era stata perduta nel gioco originale.

Anche a livello di storia ci sono diversi cambiamenti, perlopiù grazie alla presenza di un nuovo NPC che aprirà a nuovi dialoghi: stiamo parlando di Aldia, che arriva proprio nel momento in cui il gioco assume una sua linearità e instillerà dubbi nei giocatori, lungo la strada che porterà verso il finale; il collocamento dei nemici, infine, ora risulta essere più coerente con quanto raccontato dalla mitologia del gioco. La cosa più interessante è che il gioco non si limita a proporre tutti i contenuti aggiuntivi di Dark Souls II, ma ricostruisce il tessuto del gioco collocando tutto al posto giusto. Ogni elemento del gioco, che sia un boss, un’armatura o un’arma, ora è un oggetto con una precisa storia da raccontare.

Non si tratta quindi soltanto di piacere masochistico. Grazie alla maggiore potenza di calcolo delle console dell’attuale generazione, il gioco riesce anche a regalare degli occasionali momenti di piacere, riportandoci all’epoca in cui inserivamo le monetine dentro il cabinato di Ghost ‘n Goblins per “scoprire cosa viene dopo”. La magistrale art direction di Dark Souls II ha modo di brillare fulgidamente grazie alla sua ricostruzione, possibile grazie a nuove texture in alta risoluzione, che vi permetterà per la prima volta di affezionarvi per davvero a questo mondo, dando un rinnovato peso all’azione come mai prima d’ora; la sfida, elevatissima, non è più l’unico motivo per giocare Dark Souls, che recupera una dimensione da RPG tradizionale trovando un rinnovato gusto per l’esplorazione. Si tratta di semplici sfumature, certo, ma questa edizione permette di assaporare dei dettagli che in precedenza rischiavano di passare inosservati. Da citare certamente il nuovo sistema di illuminazione, riscritto per dare un’atmosfera più cupa che era stata perduta nel gioco originale.

La sfida, elevatissima, non è più l’unico motivo per giocare Dark Souls, che recupera una dimensione da RPG tradizionale trovando un rinnovato gusto per l’esplorazione.

La grafica è peraltro graziata da un frame-rate stabile di 60 FPS, in un modo che era del tutto precluso alla precedente incarnazione. Non si tratta, solamente, di un rinnovato piacere per gli occhi, ma di un’alterazione funzionale allo svolgimento del gameplay. Anche se è qualcosa che probabilmente percepiranno solo i giocatori più abili, grazie ai 60 FPS adesso il sistema di controllo è molto più reattivo, e il gioco non farà fatica a seguire ogni vostra mossa. Sono da segnalare alcuni sporadici cali, va detto, ma nulla che gravi in maniera rilevante sull’esperienza; inoltre, la velocità del frame rate fa sì che le armi si consumino al doppio della velocità normale, ma del resto nessuno ha detto che sarebbe stata una passeggiata, giusto?
È normale essere un po’ cinici nei confronti delle remaster, ma From Software è riuscita a essere differente anche in questo, proponendo un gioco che non è un semplice modo per battere cassa a fronte di un piccolo investimento, ma si configura piuttosto come una director’s cut, un compimento della visione originale che, come una femme fatale, fa male, ma sa affascinare e appagare come nessun altro.

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admin

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