Dal 2009 la saga Souls di From Software ha accumulato un invidiabile numero di fan di ogni nazione o religione. Un successo inaspettato e una gradita sorpresa anche per gli stessi talentuosi sviluppatori giapponesi, dato il suo esasperato livello di difficoltà, vera e propria reminiscenza dell’hardcore gaming di un tempo che fu.
Con Dark Souls, il GdR d’azione dai toni dark fantasy in salsa Berserk pubblicato da Namco Bandai Games abbandona l’esclusiva PS3 e diventa un vero e proprio blockbuster a livello mondiale, senza ridimensionare in alcun modo il livello di sfida, ma anzi portandolo un gradino ancora più avanti. Con l’annuncio di un suo sequel diretto, ambientato nello stesso mondo di gioco, nel corso degli scorsi VGA Awards di Spike TV, i fan della saga hanno innalzato un vespaio di sospetti e dubbi riguardo a una presunta verve occidentale e a un livello di sfida non più così… sfida.
Soltanto dopo una mezz’ora di gioco ci rendiamo conto della direzione intrapresa da Miyazaki e compagni con Dark Souls, che finisce con l’unire tutto il meglio del suo predecessore e di Demon’s Souls, li mischia tra loro e ci aggiunge una bella spruzzata di pepe per andare sul sicuro.
Dark Souls è ancora più brutale e crudo del suo predecessore, rendendo la vita impossibile anche a chi ha passato centinaia di ore tra il Nexus e la terra dei lord.
Dopo aver provato tutte le demo disponibili alle fiere di videogiochi mondiali degli ultimi mesi e aver passato due ore intense in compagnia della versione beta del gioco, infatti, ci siamo non solo sentiti a casa, ma abbiamo anche riassaporato quel livello agonistico che era riuscito a stregarci durante la caccia all’Antico.
E nonostante il fatto che saremo lanciati nel mondo di gioco, ora ben più vasto e “free roaming” rispetto al precedente capitolo, con un PG di livello anima 20 e un invidiabile arsenale a nostra disposizione (nonché tutta una serie di abilità come il dual wield, che ci permetterà di combattere con due armi contemporaneamente), sarà davvero arduo evitare la morte ancora e ancora, con il bonfire (gli accampamenti che fungono da checkpoint dal secondo capitolo della saga) che rischierà di diventare fin da subito la location più visitata durante la nostra sessione di gioco. Il primo problema da affrontare sarà l’oscurità, ora profonda e impenetrabile agli occhi: a nostra disposizione delle fiaccole da accendere, con una complicazione in più… per farlo dovremo mettere via momentaneamente scudo o spada. Inutile dire che tale meccanica ci renderà vulnerabili anche a un’imboscata di piccoli goblin, durante le fasi di esplorazione.
I fan della saga hanno innalzato un vespaio di sospetti e dubbi riguardo a una presunta verve occidentale e a un livello di sfida non più così… sfida
Attraverso il nuovo sistema di illuminazione in tempo reale spostiamo la nostra attenzione sul nuovo engine grafico: dal vento che ora muove dolcemente ciuffi d’erba e ragnatele, così come i drappeggi delle nostre vesti, alle texture ben più morbide e definite, l’intero aspetto cosmetico appare di una caratura ben più elevata che in passato, pur non facendo gridare al miracolo (e non che ce ne fosse poi il bisogno, per una IP che fa del suo gameplay il cuore pulsante dell’intera esperienza).
Dark Souls è ancora più brutale e crudo del suo predecessore, rendendo la vita impossibile anche a chi ha passato centinaia di ore tra il Nexus e la terra dei lord.
Soltanto dopo una mezz’ora di gioco ci rendiamo conto della direzione intrapresa da Miyazaki e compagni con Dark Souls, che finisce con l’unire tutto il meglio del suo predecessore e di Demon’s Souls, li mischia tra loro e ci aggiunge una bella spruzzata di pepe per andare sul sicuro.
Ricordate le piantine curatrici del capostipite? Bene, in Dark Souls II ritroveremo le fiaschette Estus, con l’aggiunta di alcune curiose gemme colorate in grado di ricaricare i nostri punti ferita gradualmente, mentre continuiamo a muoverci e attaccare. Altro punto d’incontro tra i due predecessori, la nuova meccanica della condizione “umana/spettrale”: il livello massimo dei punti ferita del nostro alter ego in forma di non-morto, infatti, si abbasserà gradualmente con il numero dei nostri decessi. All’inizio la procedura sarà quasi impercettibile, tra l’altro, rendendo ancora più subdolo il processo. Ovviamente, chi ha speso un numero imprecisato di ore davanti al predecessore, saprà bene cosa comporterà tutto ciò: vagare nella sola forma di non-morto, ora, non sarà più consentito, costringendo il giocatore a sprecare le preziose umanità (prima sostanzialmente indispensabili soltanto per giocare online) anche se decidessero di attraversare l’intera campagna di gioco in solitaria.
Come se non bastasse, il mondo di gioco è costellato da un numero impressionante di fantasmi: in più di un occasione ci si ritroverà letteralmente circondati da presenze ectoplasmatiche, capaci di spedirci a calci verso il bonfire più vicino con un paio di colpi ben assestati. E ancora. Dato che sembrava non bastare che i necromanti potessero riportare in vita le armate di scheletri dopo essere ridotti a un mucchietto di ossa, ora anche gli stessi necromanti torneranno in vita come comuni nemici a ogni nostro decesso (esattamente come avveniva nelle mappe 4-2 e 4-3 di Demon’s Souls, per intenderci).
Ricordate le piantine curatrici del capostipite? Bene, in Dark Souls II ritroveremo le fiaschette Estus, con l’aggiunta di alcune curiose gemme colorate in grado di ricaricare i nostri punti ferita gradualmente.
Ogni aggiunta sembra quasi una provocazione alle critiche di un presunto ridimensionamento mainstream della saga From Sotware, e questo terzo capitolo appare già ben poco accessibile ai nuovi arrivati.
E mentre ci accingiamo a fare nostri parate e fendenti del nuovo sistema di combattimento a due spade, la coltre oscura di una fitta foresta si dipana aprendosi, rivelando oltre le cime delle sue querce una fortezza gotica e magnificente, che proietta la sua ombra sui nostri ignoti vessilli. E, ancora una volta, l’enorme potenziale della esplosiva struttura open-world di Dark Souls II dà una spinta aggressiva e determinante all’esperienza di gioco in sé. Un enorme spettro rosso si staglia sul ponte che attraversa il fiume, unica congiunzione con questa area ancora inesplorata, mentre altri quattro di colore nero ci osservano dall’alto di altrettanti pilastri di marmo. Alziamo un piede accingendoci ad affrontare una battaglia con tutta probabilità a senso unico, mentre cerchiamo con un pennarello rosso il 14 marzo del prossimo anno con un sorriso beffardo sul volto…
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