Death Stranding potrebbe tranquillamente avere un secondo capitolo stando ai numeri che ha fatto da quando è uscito nel 2019 fino a marzo di quest’anno.
Il gioco, nato all’interno di Kojima Productions, si è dimostrato estremamente remunerativo e probabilmente continuerà ad esserlo a settembre quando uscirà la versione Director’s Cut. In una recente intervista, Jay Boor, head of publishing dello studio, ha voluto parlare non soltanto dei numeri delle vendite ma anche di come il gioco riesce a parlare ai giocatori in un modo diverso, molto diretto e molto personale.
Del resto, non vendi 5 milioni di copie in tutto il mondo in un paio d’anni se il tuo gioco non ha una risonanza con il pubblico ad un livello che va ben oltre l’essere un titolo trendy.
Death Stranding: Storia di un successo
Boor fa immediatamente notare come Death Stranding sia effettivamente il primo titolo uscito da Kojima Productions. Sembra un’assurdità, dato quanto il nome di Hideo Kojima sia noto nell’industria dei videogiochi, ma ha ragione. E per essere un primo titolo 5 milioni di copie a marzo 2021 sono numeri di tutto rispetto. Con quella che viene definita Director’s Cut, una definizione che a Kojima non piace assolutamente, ci si prepara a fare di nuovo i grandi numeri.
Ma che cosa attrae di più di questo videogioco? Secondo Boor il fatto che permetta alle persone di trovarsi nella solitudine e fa riferimento a una intervista fatta proprio a Kojima in cui il visionario creativo ha detto: “sono molto propenso alla solitudine. Penso che ci siano persone simili a me in tutto il mondo, soprattutto tra i giocatori. Quando si trovano da soli a giocare ai videogiochi nel loro soggiorno, non sentono di far parte della società o della loro comunità. Quindi quando le persone giocano a questo gioco si rendono conto che in tutto il mondo esistono persone come loro. Sapere che anche se io mi sento solo, ci sono altre persone come me, questo ti fa sentire a tuo agio. Questo è ciò che io voglio che le persone provino quando giocano a questo gioco”.
Anche perché dentro Death Stranding c’è un modo molto particolare di avere rapporti con gli altri giocatori attraverso azioni che si svolgono in maniera asincrona quindi con un multiplayer tutto particolare. E il successo del gioco ha portato ad aumentare leggermente il numero dei membri del team ma, come spiega ancora Boor, quello che è davvero cambiato è il modo in cui lo studio lavora.
Anche a causa della pandemia che sembra l’ambientazione ideale per la storia di Sam Bridges, il protagonista di Death Stranding che di lavoro fa le consegne ed è affetto da Aphenphosmphobia, ovvero la paura di essere toccato e di toccare un altro essere umano, “Stiamo tutti più o meno attraversando un viaggio simile in qualche modo a causa del clima che viviamo in questo momento. Oltre a renderci conto, o ricordarci, di quanto la consegna dei pacchi sia fondamentale per la società, buona parte del mondo sta anche cercando di venire a patti con la paura di toccare gli altri e sentirsi isolati”, spiega Boor.
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E in effetti, lo head of publishing si è reso conto di come sia cambiato il modo con cui il loro gioco è stato accolto prima e dopo la pandemia. Tutto questo rapporto positivo che i giocatori sembrano aver sviluppato con Sam, ed è un paradosso dato che al protagonista di Death stranding non interessa sviluppare rapporti interpersonali, è un ottimo viatico per un possibile secondo capitolo, che chiaramente dovrà arrivare necessariamente dopo la Director’s Cut.