L’idea alla base dell’originale Dungeon Keeper aveva del geniale, e almeno quella è stata mantenuta intatta, con buona pace del suo ideatore Peter Molyneux. Nei panni di un signore del male, sarete messi alla guida di un esercito di demoni, con lo scopo di gestire un dungeon in ogni suo aspetto. Disseminare trappole, lanciare incantesimi e comandare i vostri servitori diventerà il vostro pane quotidiano, in quello che è un geniale ribaltamento di ruoli. Avventurieri e paladini senza macchia e senza paura cercheranno infatti di invadervi, per cui dovrete difendere a tutti i costi il vostro Dungeon Heart, il cuore del dungeon. Per far funzionare il vostro labirinto dovrete accumulare oro, pietra e mana, grazie ai quali sarà possibile potenziare le sezioni del dungeon. In questo modo, si sbloccheranno quelle amabili creature demoniache che fecero la fortuna dell’originale.
Tutta l’economia del gioco è stata forzatamente ritoccata verso l’alto, in modo da rendere i costi degli upgrade proibitivi anche dopo un tempo di gioco molto limitato.
Il look del gioco, va detto, è molto fedele a quello concepito da Sir Molyneux 16 anni or sono, solo lievemente più cartoonoso. Il suo aspetto su tablet è semplicemente grandioso, mentre lo humour nero e i commenti politicamente scorretti dei demoni rimangono a tutt’oggi uno dei marchi di fabbrica della serie. Il fatto che la somiglianza con il suo antenato sia così spiccata, però, non fa che rendere lo snaturamento del suo erede ancora più doloroso. Ogni azione del gioco richiede infatti non solo un costo in risorse, ma anche di superare un apposito countdown. Costruire, scavare, creare servitori, invadere altri dungeon… sono tutte azioni che richiederanno un dato lasso di tempo per essere completate. Gli impazienti potranno aggirare questo ostacolo semplicemente mettendo mano al portafoglio, attraverso il classico sistema delle microtransazioni. Badate bene che i pagamenti sono ben camuffati dietro un’economia di gioco in apparenza indipendente dal vile denaro, che però vi spingerà in ogni modo verso l’esborso.
Il “crimine” è stato prendere la formula di una serie storica come Dungeon Keeper e adattarla a forza a un modello che non le appartiene.
Per andare avanti avrete bisogno infatti di potenziare le stanze, ma per potenziare le stanze avrete bisogno di accumulare risorse, il cui limite però dev’essere sbloccato tramite upgrade. Naturalmente, tutta l’economia del gioco è stata forzatamente ritoccata verso l’alto, in modo da rendere i costi degli upgrade proibitivi anche dopo un tempo di gioco molto limitato. Sì, in teoria tutto è ottenibile senza sborsare un soldo, ma all’atto pratico richiederebbe una quantità di tempo talmente assurda che di fatto il sistema può essere bollato come un pay-to-win, pagare per vincere. Francamente, avremmo preferito di gran lunga un approccio come quello di Plants vs. Zombies 2 che, seppur costruito intorno a un modello di business ben preciso, consentiva comunque ai non paganti di godersi un’esperienza genuinamente divertente. Dungeon Keeper, al contrario, vi fa entrare fin da subito in un bellissimo parco a tema, ma rovina tutto il divertimento costringendovi a spendere per accedere a ogni singola attrazione.
Il fatto che la somiglianza con il suo antenato sia così spiccata, però, non fa che rendere lo snaturamento del suo erede ancora più doloroso.
La necessità di pagare diventa ancora più un problema una volta che si approda online. I giocatori potranno infatti congegnare i loro dungeon e invitare altri amici a tentare di affrontarli. E, di contro, potranno radunare il proprio drappello di demoni arrabbiati per andare alla conquista di altri dungeon. In queste situazioni, ovviamente, il giocatore che ha investito più denaro nella fortificazione del proprio dungeon e dei propri servi sarà inevitabilmente avvantaggiato negli scontri online.
L’operazione di Electronic Arts è abbastanza evidente: trasformare un classico per PC in una tipica esperienza mobile, per giunta molto sbilanciata. Non ci sarebbe nulla di male: del resto, esiste un densissimo filone di giochi mobile che sfruttano questo sistema. C’è a chi piace e chi no. Il “crimine”, però, è stato prendere la formula di una serie storica come Dungeon Keeper e adattarla a forza a un modello che non le appartiene. La cosa grave è che non c’è stato nemmeno un tentativo di aggiungere una meccanica originale, ma si è semplicemente impiegato un template già esistente. Spiace dirlo, ma questa versione di Dungeon Keeper rappresenta tristemente il segno dei nostri tempi. È il capitalismo, ragazzi, e non ci potete fare proprio niente.
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