Nonostante i numerosissimi avvertimenti venuti in particolare dal mondo cinematografico, l’unica vera apocalisse zombie dei nostri tempi sembra essersi verificata nel mondo videoludico, del quale i non-morti hanno preso un possesso che non sembrerebbero avere intenzione di lasciare a breve.
In Dying Light ci ritroviamo per l’ennesima volta in un mondo in cui proprio l’improvviso scoppio di un’epidemia ha decretato la rapida vittoria delle mefitiche creature in questione sull’umanità. Nonostante manchino ancora dettagli relativi alla trama, si può già notare come Dying Light ambienti le proprie vicende in una fase più avanzata rispetto al più gettonato momento dell’infezione generale. Nella decadente città che fa da sfondo (non solo: ne costituisce decisamente parte attiva) all’azione, i pochi sopravvissuti si sono radunati in gruppi ben distinti, che cercano di difendere come possono i luoghi che hanno deciso di chiamare “casa” e conducendo nel contempo una quotidiana ricerca di materiali che consentano loro di sopravvivere nel breve periodo. Qui comincia la parte riservata al giocatore, che, nei panni di uno tra quattro sopravvissuti, sarà chiamato a condurre le frequenti operazioni necessarie al sostentamento, facendo attenzione a non finire vittima delle mostruosità che infestano le strade.
In Dying Light bisognerà prestare particolare attenzione al miglioramento delle capacità dei personaggi.
La prima considerazione da fare su Dying Light (e di certo la più banale) è che si tratta senza dubbio del frutto di una calda notte di passione consumata tra Dead Island e Mirror’s Edge.
Il primo, peraltro realizzato dalla stessa Techland che produce Dying Light, presta al nuovo titolo il framework generale, fatto di azione in prima persona, leggeri elementi di looting e crescita del personaggio, elementi di modifica delle armi e scontri ravvicinati con gli zombie. Da Mirror’s Edge deriva invece la forte impronta dinamica che segna l’azione: le ambientazioni hanno infatti un netto sviluppo verticale, e sono zeppe di rampe da cui proiettarsi, pali da scalare, ostacoli da oltrepassare e aperture entro cui scivolare.
Nonostante l’essenza “cross-gen”, poi, l’aspetto visivo di Dying Light è davvero impressionante.
Le due anime si scompongono volta in maniera fluida tra le due tipologie di azione, nettamente distinte, proposte da Dying Light, scandite dalla luce solare: questa indebolisce particolarmente i morti viventi, e dal momento che il titolo propone cicli completi di 24 ore, l’alternanza tra giorno e notte diviene di forte importanza strategica. Durante il giorno, infatti, le masse di zombie saranno lente e confuse come vuole la tradizione. Certo, non saranno innocue: una decisione azzardata potrebbe farci ritrovare in breve nel mezzo di una folla di mostri dalla quale sarebbe difficile uscire con tutti gli arti al proprio posto. Il gameplay diurno, dunque, pone un grande accento sulla mobilità del protagonista, che dovrà mantenere quanto più possibile l’high ground e navigare rapidamente le ambientazioni, in modo da raggiungere senza problemi i propri obiettivi.
Tra questi confini si svolgono le vicende dei nostri protagonisti, che abbiamo visto all’opera in azioni come il recupero delle provviste sganciate da un aereo e la riattivazione di trappole elettrificate poste a difesa degli avamposti. Per quanto gli scontri vadano evitati quando possibile, sarà sempre una buona idea portarsi dietro qualche buona arma: Dying Light predilige gli strumenti da mischia, come mazze da baseball, coltelli da lancio, chiavi inglesi e lame affilate.
La prima considerazione da fare su Dying Light (e di certo la più banale) è che si tratta senza dubbio del frutto di una calda notte di passione consumata tra Dead Island e Mirror’s Edge.
In Dying Light bisognerà prestare particolare attenzione al miglioramento delle capacità dei personaggi.
Combattimento corpo a corpo e acrobazie, ad esempio, consumeranno un’apposita barra: trovarsi senza energia nel momento in cui si rende necessaria una fuga rocambolesca fa ridurre notevolmente l’aspettativa di vita. Nonostante l’essenza “cross-gen”, poi, l’aspetto visivo di Dying Light è davvero impressionante. I cespugli ondeggiano al vento, mentre i raggi solari filtrano attraverso le aperture degli edifici; il motore Chrome Engine 6 si rivela capace di muovere gruppi estremamente numerosi di zombie, che daranno vita a scene raramente messe in piedi nei tanti titoli appartenenti al genere. Insomma, Dying Light si rivela molto meno banale di quanto si possa presumere osservandolo da lontano: gli zombie potrebbero effettivamente avere ancora qualcosa di interessante da raccontare.
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