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Approfondimenti

ElettroLudica a Videogiochi.com “Vogliamo diffondere la cultura del videogioco”

Il prossimo 26 giugno inaugura ad Avezzano, provincia dell’Aquila, il Museo dell’Intrattenimento Elettronico. Una istituzione creata e gestita dall’associazione elettroLudica. Abbiamo allora deciso di andare a curiosare prima dell’apertura e a scambiare quattro chiacchiere con Erik Pede, uno dei tre soci fondatori dell’associazione che ha come scopo quello di diffondere nella zona, e in Italia, la cultura del videogioco come opera dell’ingegno.

ElettroLudica a Videogiochi.com “Vogliamo diffondere la cultura del videogioco” (foto: elettroLudica)

Guardando quello che adesso gira su console, PC e smartphone per qualcuno forse è difficile pensare che non molti anni fa la tecnologia fosse estremamente più limitata e che i giochi non avessero l’apparato visivo che hanno ora. Eppure hanno incantanto milioni di persone nel mondo.

E il Museo creato da elettroLudica non è solo la celebrazione della tecnologia che si trova dentro una vecchia console, per esempio, ma una capsula del tempo in cui ritrovare quel senso di aggregazione che andare in sala giochi regalava.

L’inaugurazione si comporrà di una due giorni all’insegna della festa, degli incontri e della cultura. Una cultura, quella dei videgiochi e dell’intrattenimento elettronico, in cui siamo immersi e, come pesci nel mare, ogni tanto dobbiamo avere qualcuno che ci indichi la bellezza intorno a noi per tornare ad apprezzarne la vastità.

elettroLudica, il passato e il presente dei videgiochi

ElettroLudica a Videogiochi.com “Vogliamo diffondere la cultura del videogioco” (foto: Valeria Poropat)

Cominciamo con le presentazioni. Chi c’è dietro elettroLudica?

Siamo l’associazione culturale elettroLudica. Ci sono tre soci fondatori: io (Erik Pede), Fabio Rubeo e Alessandro Di Berardino. Ci è venuta l’idea del museo dell’intrattenimento elettronico in realtà parecchi anni fa, quindi abbiamo cominciato a raccogliere materiale. Il lavoro effettivo sul museo, sulla struttura, sull’esposizione, sulla costituzione dell’associazione culturale è iniziato da un po’ più di 5 anni.

Perchè “elettroLudica”?

Tutti noi giochiamo da una vita e, nel corso degli anni, i cabinati, i flipper, i giochi anche per console, per computer e ci siamo resi conto a un certo punto che questa è roba deperibile e quindi il primo intento che abbiamo avuto era quello di preservare, restaurare, salvare dal deterioramento perché secondo noi sono cose che vanno conservate.

È vero, uno può dire ‘sono giochi’. Sì, è vero sono giochi ma sono comunque a tutti gli effetti opere di ingegno, per esempio: un gioco per Super Nintendo. Lo vedi è bello, ha una bella grafica anche in pixel art, anche se antiquato, e ha una colonna sonora lunghissima, ogni livello ha un tema musicale completamente diverso dagli altri. Sulla cartuccia occupa quello che occupa sul cellulare l’icona di un’applicazione, occupa lo stesso spazio. Per ottenere un risultato del genere, cioè comunque un gioco completo con audio, musica, tanti livelli, con gli strumenti di sviluppo di una volta, che erano primitivi rispetto a quelli di adesso, e tutto questo farlo entrare nello spazio che occupa l’icona di di un’applicazione è un’opera di ingegno a tutti gli effetti. E quindi non volevamo che andasse perso.

Quindi, voi fate recupero e conservazione sia dell’hardware sia del software. E parlando di hardware e software, una domanda love love: il pezzo di cui siete più orgogliosi in assoluto.

È difficile. Nel senso, per esempio per Fabio, l’altro socio fondatore, è sicuramente il Computer Space che è il primo cabinato di tutti i tempi. È del 1971 e in effetti è un cabinato bellissimo da vedere ed è molto particolare, perché è in vetroresina, arrotondato, molto bello. Ecco, essendo una passione dipende non dal valore e non dalla rarità, dipende dai gusti personali.

Per esempio il mio pezzo preferito di tutta l’esposizione è l’R-Type, che comunque è vero che è un gioco che non si trova tanto facilmente con il cabinato originale però si trova, non è una rarità assoluta, non è un pezzo da collezionista arabo, però siccome siamo in un ambito in cui la passione viene prima di tutto, sì, per me sicuramente è l’R-Type, il cabinato originale dell’R-Type. Che non è nè la cosa più rara, nè la cosa che ha più valore qui dentro però è proprio una questione di amore personale.

E su questo stesso argomento, il pezzo che vorreste avere e non avete ancora?

Di nuovo ti rispondo per me, un cabinato SEGA R360.

Che cos’è?

Allora lo R360 è un cabinato SEGA che è uscito con un gioco di aerei, G-Rock, il seguito di Afterburner. È un cabinato sferico intelaiato dentro un’armatura d’acciaio. Entri, c’è il sedile, c’è lo schermo, c’è la cintura di sicurezza, c’è un tasto enorme di arresto, perché gira a 360°. È un cabinato raro perché comunque si rompeva di continuo e ne sono sopravvissuti veramente pochi. Ha una manutenzione che è un incubo, perchè si tratta di una serie di motori idraulici che lo fanno girare. È un cabinato per capirci che va attaccato alla corrente trifase, non va a 220 volt, va a 380. Ed è anche impegnativo come gioco, dentro, il pulsante di arresto d’emergenza se uno si sente male è enorme. E ce n’è uno dentro e uno fuori. È particolare ed è un pezzo di storia, tra l’altro io non ci giocherei mai perché soffro di mal d’auto (ride), se entro là dentro muoio.

ElettroLudica a Videogiochi.com “Vogliamo diffondere la cultura del videogioco” (foto: Valeria Poropay)

In Italia ci sono, poche, diverse realtà che fanno più o meno tutte promozione e conservazione. E quindi, perchè ci siete anche voi e in cosa siete diversi dagli altri?

Ci siamo perchè qui in zona comunque non c’era. Siamo diversi dagli altri perchè abbiamo scelto di mescolare la conservazione, l’esposizione e il gioco. Sono stato al Vigamus, che è qui vicino e volevo vederlo assolutamente. Loro hanno delle macchine in prova. Secondo me tra l’altro, avere un museo dei videogiochi e non farli provare, visto che il videogioco è un’esperienza interattiva sarebbe inutile. Quindi giustamente ci sono delle macchine in prova.

Noi abbiamo voluto fare qualcosina in più e quindi noi non è che abbiamo qualche macchina in prova: abbiamo due sale giochi. Perché oltre all’aspetto museale, noi vogliamo anche ricreare l’aggregazione sociale che dava la sala giochi. Quindi il punto di ritrovo, la partita con l’amico, la chiacchiera, il pomeriggio in cui magari scopri il gioco nuovo o ritrovi il gioco di quando eri ragazzino, se magari hai l’età mia e non quella del ragazzetto magari di 20 anni che viene li vede per la prima volta e si appassiona… Abbiamo unito diverse cose. Abbiamo unito la conservazione, l’esposizione museale, l’aggregazione della sala giochi.

Il museo si trova in una zona in cui, nonostante la presenza di poli tecnologici di riguardo, non si percepisce la tecnologia come qualcosa di attrattivo, men che meno i videogiochi. Quindi la domanda è: che vi siete sentiti dire quando avete detto a chi conoscete, esclusi amici e parenti, che volevate fare un’associazione per promuovere la cultura del videogioco in questa zona?

È stata più che altro una cosa a fasi. All’inizio la maggior parte delle persone ci hanno detto ‘sì, effettivamente è bello, il flipper, il video gioco’. Poi hanno visto l’inizio della lavorazione, quindi lo spostamento, sistemare il locale, spostare tutte le macchine decine di volte, riparare quelle rotte. Ecco questa è una cosa importante: le macchine che sono nelle due sale giochi, l’80% era rotto. Adesso sono giocabili. In quel momento ci hanno detto ‘No, voi siete pazzi’. Adesso chi viene, perché qualcuno magari si è trovato da queste parti perché ha visto la locandina o è comunque venuto a dare un’occhiata, ha una reazione positiva ma è positiva anche oltre quello che ci aspettavamo.

Perchè, cosa vi aspettavate?

Più che altro la curiosità, invece ci siamo resi conto che per tante persone non è solo la curiosità ma anche la partecipazione, proprio perchè il videogioco, il flipper, è interattivo. Non dici ‘Quello l’avevo visto’, no, ‘con quello c’ho giocato’. E forse non me lo aspettavo.

Manca in buona sostanza la cultura del videogioco, la percezione del videogioco come cultura.

Anche questo è uno dei nostri intenti. Nel senso, non c’è la cultura, che ne so, perché la persona magari tra i 40 e 50, che quindi comunque in realtà i videogiochi li avrebbe già potuti sperimentare quando c’erano magari per cultura locale non li ha mai neanche toccati. La nostra idea è anche questa ‘perché non li hai mai toccati?’ ‘perché non mi interessavano.’ Ok, però io ti faccio vedere perché sono meritevoli di essere conservati e non di andare al macero, ti faccio vedere che farli era difficilissimo quindi chi li ha fatti in realtà nel suo settore era un genio, ti faccio vedere come funzionano elettronicamente e quindi ti faccio vedere che se non ci fosse stato questo probabilmente non avresti il cellulare oggi oppure sarebbe gigantesco.

E quindi la nostra idea è proprio la cultura dell’intrattenimento digitale, che secondo noi esiste, solo che va spiegata. In realtà, tanta gente ci sta già dentro la cultura dell’intrattenimento digitale fino al collo, perché magari gioca, conosce, gli piacciono i libri, gli piacciono i vecchi cabinati però ancora non la considera una cultura vera e propria. Per questo, la cosa a cui tengo tantissimo io è spiegare che comunque sono a tutti gli effetti opere di ingegno. Tanto è vero che oggi magari per un videogioco ci sono dietro più persone che per un film perché comunque fare un videogioco è difficilissimo.

E quindi, ti chiediamo, come si gestisce un’affermazione del tipo ‘sì, ma i videogiochi: attenzione, perchè generano violenza’?

Dipende dai casi, nel senso, questa cosa l’ho sentita anch’io tantissime volte. Io ho avuto un negozio di videogiochi dove venivano ragazzini di 13 anni a chiedere GTA e, già quando avevo il negozio di videogiochi, la vendita era consigliata dai 18 anni in su. Io non glielo davo, tornavano col genitore, io gli spiegavo come era fatto il gioco, il genitore pur di far star zitto il ragazzino lo comprava. C’è un problema all’origine, va bene il ragazzino è impegnativo però se tu comunque gli compri Grand Theft Auto, non controlli che cosa guarda in televisione, adesso, non controlli che cosa guarda su internet, la colpa non è degli altri.

Secondo punto, il videogioco in sè non istiga alla violenza perché, da prima che esistessero i videogiochi, comunque sono esistiti anche i film violenti, i racconti di guerra. Libri e racconti di guerra, anche realistici o addirittura schierati, ci sono sempre stati. Statisticamente almeno la metà di noi dovrebbero essere assassino, non mi sembra che sia successo. E poi c’è comunque il fatto che se c’è un minimo di assistenza esercitata dal genitore o chi sia, il videogioco adatto a tutti è sempre esistito.

È vero che la maggior parte dei cabinati degli Anni ’80 erano rivolti all’epoca al teenager maschio, ora il mercato è cambiato, quindi c’era l’omino che sparava o in Ghost and Goblins c’era a il cavaliere che salvava la principessa. Però Bubble Bobble è sempre esistito. Parliamo di inizio degli Anni ’90, c’erano due draghetti che sparavano le bolle, scoppiavano le bolle con i mostriciattoli cattivi dentro e facevi i punti. E non è un intrattenimento di serie B perchè Bubble Bobble è uno dei videogiochi più belli di tutti i tempi.

Quindi l’argomento del videogioco sempre è comunque violento non regge, mancano proprio le basi. Può essere (un discorso) intavolato in modo superficiale. Ma se hai una struttura di questo tipo ci si può ragionare. Perché glielo puoi far vedere, glielo fai provare, glielo fai toccare. Dici, guarda è vero ci sono i videogiochi violenti, come ci sono i film violenti, ecc… però c’è anche questo, guarda quanto è bello. Anche perchè, per forza di cose, per limiti di hardware, di strumenti, i primi videogiochi erano astratti. Tanto è vero che, pur essendo vecchi, tanti videogiochi dell’inizio degli Anni ’80 piacciono ancora proprio perché non c’è l’impegno del programmatore sulla grafica o perché non si poteva fare e quindi c’era l’impegno sul gioco. Allora io mi trovo magari davanti a un gioco dell’82 che lo guardo con gli occhi di oggi e dico, è ridicolo, sono tre colori, poi ci giochi e scopri che è divertentissimo perché non avendo o mezzi tecnici a disposizione doveva essere divertente sennò (il programmatore) non guadagnava. E tra l’altro è anche un concetto trasferibile. Quanti film oggi hanno gli effetti speciali e il film non c’è? A noi interessa anche questo: la cultura dell’intrattenimento elettronico.

È per questo che, per esempio, nel museo vi fermate al 2000?

Ci fermiamo al 2000 per una questione tecnica di generazioni, in realtà appena finiremo di impazzire per l’apertura nella sala conferenze ci sarà un’altra vetrina con tutte quante le macchine dal 2001 in poi, console e pc. Quella è una suddivisione in realtà che si fa più che altro a livello tecnico, è una convenzione: tanti la seguono, tanti non la seguono. Chi la segue fa bene, chi non la segue fa bene lo stesso. Non ti dico che è arbitraria ma poco ci manca. Sono 30 anni, dal ‘71 al 2000, trent’anni di intrattenimento elettronico. L’esposizione è fino al 2000 ma bisogna essere coscienti che dal 2000 in poi i videogiochi ci sono lo stesso.

ElettroLudica a Videogiochi.com “Vogliamo diffondere la cultura del videogioco” (foto: Valeria Poropat)

Avete magari intenzione nel futuro di affiancare l’associazione e la promozione alla creazione di un hub creativo in cui si possa venire a sviluppare anche giochi, magari proprio per e con le macchine vecchie?

Probabilmente sì, molto probabilmente sì. Perché si ricollega al discorso che facevamo prima. Vieni, io ti dico il videogioco è un’opera di ingegno, ‘perché? Non mi hai convinto’. Vedi se riesci a farlo, molto probabilmente non ci riesce perché non hai gli strumenti, non hai la forma mentis. Vediamo insieme allora. Ed è una cosa importante che andrà fatta.

Questo aspetto verrà gestito in collaborazione con altre realtà o entità del territorio o in Italia o anche fuori Italia?

Noi siamo interessati a collaborare già con diverse altre attività del settore, conosciamo abbastanza bene anche diversi sviluppatori italiani. Stiamo definendo. La risposta breve alla domanda specifica è: molto probabilmente in futuro sì.

Avete intenzione di organizzare mostre tematiche piuttosto che incontri? Avete magari fatto già una scaletta?

Abbiamo in ballo diverse persone che verranno comunque a parlare, abbiamo in ballo diverse date ipotetiche e quindi il problema è che non c’è ancora niente di definito, la certezza è che ci saranno manifestazioni, incontri, conferenze, workshop.

A bruciapelo: console o pc?

Console: PC Engine.

Il primo ricordo in assoluto legato all’intrattenimento elettronico.

In vacanza, in estate io in piedi su uno sgabello, perchè ero troppo basso, e giocavo con un cabinato originale di Asteroid, in un bar. Penso fosse tra il ‘79 e l’81.

Per chi viene al museo, c’è un percorso guidato, c’è un biglietto, come funziona?

Biglietto assolutamente no, funziona in tutto e per tutto come le altre associazioni culturali. Quindi c’è una tessera associativa che probabilmente per venire incontro sia a chi è del posto, sia a chi viene da fuori ma non troppo lontano e ha la possibilità di venire più volte, sia a chi viene proprio da fuori probabilmente sarà disponibile in diverse durate. C’è la possibilità della visita guidata, la tessera associativa essendo noi un’associazione culturale include tutto. Le gettoniere di tutti i giochi sono sigillate, i giochi sono in free play.

Pensierino della sera prima di salutarci.

Quello che dicevamo prima, esiste la cultura del videogioco perché esiste, tanti non la conoscono, tanti magari ne fanno parte ma neanche se ne rendono conto, la nostra speranza è quella di spiegarla, di diffonderla e di farla capire, conservando nel frattempo tutto quello che andrebbe perso.

Grazie Erik per l’ospitalità e per l’intervista. E per la partita!

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Per conoscere le attività di elettroLudica QUI trovate il sito ufficiale.

Valeria Poropat

Sono Valeria e adoro la tecnologia e la parola scritta. Dopo la maturità classica ho studiato lingue presso La Sapienza di Roma e sono specializzata in traduzione e transcreazione. A un anno e mezzo ho incontrato un Commdore 64 e a otto anni ho deciso che avrei fatto la giornalista. Alla fine, ho trovato il modo di mettere tutto insieme e ho scoperto nel mondo dell'informazione tech il mio ambiente naturale. Mi occupo di tutto ciò che è tecnologia, con una predilezione per i videogiochi e le innovazioni che sono in grado di migliorarci la vita.

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