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Fez – la recensione

La generazione di videogiochi da poco conclusa sarà ricordata per l’avvento dell’alta definizione, dei sistemi di motion control e per l’affermazione di alcuni generi in particolare (su tutti gli FPS) che hanno monopolizzato il mercato nell’arco di sette anni; tuttavia, per molti a contraddistinguere il suddetto periodo è stata soprattutto la rinascita dello sviluppo indipendente. A seguito dello sdoganamento da parte di Microsoft e Sony dell’indie gaming e l’accoglienza riservatagli su Steam, questo settore dell’industria ha infatti dimostrato con i numeri che contano il vero valore del videogioco artigianale, del lavoro realizzato con e per passione, facendoci ritornare in mente i tempi in cui a fare di un titolo un capolavoro indiscusso era poco più di un pugno di uomini e donne.

Gomez, grazie a un cappello magico, acquisisce così il potere di ruotare il mondo di novanta gradi e capisce che niente sarà più come prima.

Il titolo qui recensito è uno dei prodotti più fervidi concepiti da un team di sviluppo indie negli ultimi anni: Fez. Del gioco avrete probabilmente già sentito parlare: trattasi infatti di una produzione indipendente pubblicata nel 2012 in esclusiva per Xbox 360 e PC, premiata un po’ ovunque per la sua indubbia qualità ludica e artistica. Siamo di fronte a un’opera particolare, che trascende qualsiasi tentativo di etichettarla in una precisa identità videoludica, ora giunta su tutte e tre le piattaforme Sony con lo scopo di far conoscere agli utenti PlayStation la sua magia unica.
Definire Fez è un’impresa non proprio facile, ma ci proviamo lo stesso: diciamo che a voler essere concisi, possiamo descriverlo come un platform in 2D con elementi puzzle. Tutto qui? Certo che no! A rendere particolare Fez è il fatto che l’elemento puzzle è insito nella possibilità di cambiare con la pressione di un tasto la prospettiva della visuale, rendendo il gioco mai scontato e il mondo in cui ci troviamo mai quello che sembra veramente.

Fez è un gioco geniale, un’opera che andrebbe studiata a scuola di game design da tutti, nessuno escluso.

Okay, procediamo con ordine. Il protagonista di Fez è Gomez, un omino bianco (no, non quello della pubblicità!) e pixelloso che vive tranquillo e beato in un piccolo villaggio eretto su un’isola, in cui tutti gli abitanti vivono felici e contenti nella loro bidimensionalità. Nessuno del posto pensa che il mondo possa avere infatti una dimensione diversa da quella in cui vive, tant’è che le voci sull’esistenza di forme geometriche tridimensionali, come cubi e simili, sono soltanto leggende. Un giorno, però, Gomez viene chiamato in causa da un’entità misteriosa che lo avverte dell’incombenza di una catastrofe imminente, dichiarando che l’unico modo per fermarla è raccogliere una serie di cubi sparsi nel mondo. Gomez, grazie a un cappello magico, acquisisce così il potere di ruotare il mondo di novanta gradi e capisce che niente sarà più come prima.

A rendere particolare Fez è il fatto che l’elemento puzzle è insito nella possibilità di cambiare con la pressione di un tasto la prospettiva della visuale.

Già, perché dopo i primi minuti di gioco in cui sarete impiegati a saltare di piattaforma in piattaforma e a parlare con i vostri amici del villaggio, vi si aprirà davanti un mondo, dal momento in cui acquisirete la nuova abilità. Scoprirete che cambiando prospettiva potrete raggiungere un punto della mappa che prima non era accessibile: a seconda dell’angolazione, elementi fuori campo verranno portati in primo piano o viceversa, attraverso una sola azione, permettendo di capire come procedere e raggiungere l’agognato frammento di cubo, ma anche un tesoro nascosto, una zona segreta, una chiave per aprire una porta.

Da buona esperienza vecchio stile quale è, il livello di difficoltà di Fez non è affatto permissivo.

Fez è un gioco geniale, un’opera che andrebbe studiata a scuola di game design da tutti, nessuno escluso. A farla da padrone nel gioco è la componente esplorativa, quella ricerca continua dell’oggetto mancante necessario per andare avanti o semplicemente la scoperta di una zona bonus che siamo riusciti a raggiungere alternando sapientemente platforming a cambi di prospettiva logici degni di una partita al cubo di Rubik.

Le versioni PlayStation differiscono da quelle originali unicamente per le funzionalità di cross save, inoltre su PS4 è possibile usare il touch pad per navigare con maggiore comodità nella mappa del gioco.

Da buona esperienza vecchio stile quale è, il livello di difficoltà di Fez non è affatto permissivo. Nonostante non sia presente un counter delle vite, né una barra dell’energia, nel caso Gomez sbagliasse un salto, morirebbe sul colpo anche cadendo da altezze insignificanti. Se nel 99% dei platform cadere da decine di metri non comporta chissà quali problemi, al massimo diminuendo di qualche tacca il livello della salute, in Fez fare il minimo passo falso sarà fatale.
Benché si fregi di un sistema di controllo semplicissimo e intuitivo, e sia capace di catturare fin dai primi minuti, passati i primi due livelli il gioco di Phil Fish (mente creativa principale dietro a questo piccolo grande capolavoro) inizia a diventare un titolo ingarbugliato e piuttosto impegnativo che potrebbe scoraggiare i giocatori meno pazienti. Questo non è un difetto vero e proprio, piuttosto un limite che, così come due anni fa, potrebbe chiudere le porte a un’utenza piuttosto grossa di giocatori.

Dove Fez completa il suo status di capolavoro indie è sul versante artistico. Il mondo di gioco è meraviglioso, ispirato, ricco di vigore creativo, una prova tangibile di come la pixel art sia ormai l’equivalente della pop art in termini videoludici. Ogni scorcio degli ambienti di Fez è un tributo ai tempi d’oro della 8 bit generation, una rigogliosa esplosione di ricordi, citazioni ed emozioni autentiche accompagnata da un sonoro che porta reminescenze da vecchia cartuccia a ogni singola nota. Le versioni PlayStation differiscono da quelle originali unicamente per le funzionalità di cross save, inoltre su PS4 è possibile usare il touch pad per navigare con maggiore comodità nella mappa del gioco e godere di una maggiore brillantezza dei colori rispetto a PS3 e PS Vita. Certo, nulla che possa rappresentare una motivazione degna per invogliare all’acquisto i giocatori che hanno già portato in salvo il popolo del piccolo Gomez su 360 o PC, ma un plus gradito per i nuovi avventurieri di questo suggestivo mondo a due/tre dimensioni, che era e rimane un titolo da provare almeno una volta nella vita.

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