C’è qualcosa di magico, in New Orleans. Un’alchimia perfetta che unisce il senso dell’esotico a un’atmosfera viva e vibrante, sebbene al tempo stesso sottilmente minacciosa. Metà degli Anni Novanta, quartiere francese. Siamo nel cuore pulsante della città, dove la tradizione convive con la modernità, e dove, sotto la superficie, si agitano forze oscure, incontrollabili. Gabriel è un libraio con ambizioni, piuttosto frustrate, di romanziere. Una serie di delitti apparentemente legati a riti voodoo rappresenta la fonte del suo nuovo libro, che è quindi anche un po’ inchiesta, con il nostro ragazzo nei panni di una sorta di detective privato, aiutato da un poliziotto, Moseley, disposto a fornirgli qualche traccia, qualche dritta investigativa.
Inizia tutto così, in Gabriel Knight: Sins of the Fathers. Senza eccessivo clamore, con la quotidianità del nostro alter ego che si insinua in noi, facendoci parte del suo mondo, della sua storia. Un passo dopo l’altro e siamo senza accorgercene completamente fusi con uno scenario unico, irrimediabilmente mesmerizzati da quella che è, senza dubbio alcuno, la più grande avventura grafica di tutti i tempi. Gabriel Knight: Sins of the Fathers è questo e altro, e lo dimostra oggi ancor più che nel 1995. In un’epoca di instant games tutti improntati all’azione, dove nei primi minuti dobbiamo già aver ucciso almeno una decina di persone e magari anche fatto detonare un edificio, è rimasto ben poco spazio a generi come le vecchie adventure, quelli, insomma, dove si doveva leggere, ragionare, risolvere complessi enigmi. Il mercato è cambiato… il mondo stesso è cambiato. Viziati dalla tecnologia e dallo splendore grafico, assuefatti dal meccanismo del real time dinamico, stentiamo a riprendere in mano i vecchi capolavori che pure avevamo amato. Hanno quel retrogusto stantio, quella macchinosità un po’ goffa che ci fa spostare sulla sedia mentre giochiamo, quasi imbarazzati. “Possibile?” Ci chiediamo. “Possibile che questa meraviglia, che un tempo mi entusiasmò, ora mi stia… annoiando?”. Già, lo è. Di norma lo è. Ma, come è noto, ogni regola presenta almeno un’eccezione. Gabriel Knight è l’eccezione, e lo deve a una donna, la sua autrice e madre spirituale. Jane Jensen.
Un passo dopo l’altro e siamo senza accorgercene completamente fusi con uno scenario unico, irrimediabilmente mesmerizzati da quella che è, senza dubbio alcuno, la più grande avventura grafica di tutti i tempi.
In un universo fatto in grandissima parte di opere interattive, narrativamente banali e superficialmente adolescenziali, Sins of the Fathers brilla della luce infusa da una vera scrittrice, che in questo suo lavoro racconta una storia ispirata, studiata, profondamente ricercata e magistralmente scritta. Una storia che ha qualcosa da dirci e che sa come farlo, parlando contemporaneamente al nostro cervello e al nostro cuore, ma anche insinuandosi fin nelle nostre viscere, facendoci davvero sentire ciò che Gabriel prova. La pungente aria dell’alba, la densa oscurità di una palude ove udiamo i tamburi di inquietanti riti esoterici, l’eccitazione alla vista di una femme fatale come Malia Gedde, piccante come un piatto cajun. Tale è il potere della scrittura. Dove le altre avventure spesso rischiano di sapere di obsoleto, Gabriel Knight: Sins of the Fathers splende come e più di ieri, anche in virtù di un’edizione speciale per il suo ventesimo anniversario che merita i nostri elogi incondizionati.
Dove le altre avventure spesso rischiano di sapere di obsoleto, Gabriel Knight: Sins of the Fathers splende come e più di ieri, anche in virtù di un’edizione speciale per il suo ventesimo anniversario che merita i nostri elogi incondizionati.
Pinkerton Road e Phoenix Online Studios, con Jane Jensen saldamente in sella al progetto, hanno compiuto ciò che non possiamo non chiamare un autentico atto d’amore, attualizzando il gioco ma senza tradirlo né stravolgerlo in alcun modo. Gli scenari, locazione per locazione, sono ridisegnati e in alta risoluzione ma restano totalmente fedeli agli originali, in tutto e per tutto. Idem per il design di Gabriel, della sua gelosa assistente Grace e degli altri comprimari. Dimenticate lo scempio artistico condotto da Telltale ai danni di Monkey Island (e non venite a difendere quell’interpretazione visiva, avreste la stessa credibilità di una scimmia a tre teste): Sins of the Fathers resta com’era, e a buon diritto. Un capolavoro ispirato e vibrante, un mondo digitale talmente coerente e ben rappresentato da assorbirvi in un istante per non lasciarvi più finché, provati ed emozionati, commossi e toccati nel profondo, non sarete ripiombati nel nostro mondo reale, improvvisamente così vuoto, così scarno.
Pinkerton Road e Phoenix Online Studios, con Jane Jensen saldamente in sella al progetto, hanno compiuto ciò che non possiamo non chiamare un autentico atto d’amore.
L’interfaccia è stata migliorata, ovviamente: fedele all’originale ma a scomparsa, molto meno invadente, con l’aggiunta di un intelligentissimo sistema di indizi interattivo, che occhieggia ai mitici InvisiClues di Infocom, strutturato quindi con una serie di livelli di suggerimento che, da una prima traccia vaga, può eventualmente condurvi alla pedissequa soluzione dei molteplici enigmi nei quali vi imbatterete. Non che sia fondamentale: a differenza di altre avventure coeve, Sins of the Fathers presenta enigmi molto logici e sensati, che rendono l’esperienza stimolante e avvincente senza mai farla sfociare nella frustrazione. Ciò nondimeno, è ottimo che esista un sistema che vi permetta comunque di non bloccarvi e di garantirvi la fruizione completa di una storia di tale valore. Anche la colonna sonora, semplicemente straordinaria, è stata rimasterizzata, il che rende il comparto audio memorabile, complice un voice acting da antologia (un esempio su tutti oltre alla voce di Gabriel: la narratrice, col suo accento del sud degli States… impagabile). Quanto al gameplay, siamo di fronte alla più classica delle avventure grafiche, senza compromesso alcuno: esplorazione di ambienti, interazione sociale, risoluzione di enigmi. Il tutto strutturato in capitoli scanditi dal passare dei giorni. Gli enigmi sono rimasti gli stessi della versione originale, sebbene non manchi qualche minima variazione, sufficiente tuttavia (ne sono certo) a incuriosire i veterani della serie.
A differenza di altre avventure coeve, Sins of the Fathers presenta enigmi molto logici e sensati, che rendono l’esperienza stimolante e avvincente senza mai farla sfociare nella frustrazione.
Che altro aggiungere? Di un’opera maestosa e magistrale come questa si potrebbe parlare per ore (se il tema vi intriga, vi consiglio caldamente la lettura del saggio “L’eredità Sierra” del collega e amico Gianpaolo Iglio, uno dei massimi conoscitori e appassionati di avventure grafiche), ma fortunatamente non trattando di frame al secondo e altri tecnicismi. Parleremmo di emozioni, di sentimenti, di ricostruzione storica e ricerca etnografica, di lirismo e impatto narrativo. Parleremmo, in sostanza, di uno dei più grandi capolavori della storia del Videogioco, una pietra angolare che, oggi come ieri, sostiene con la sua forza visionaria un’industria ancora troppo povera di contenuti. Bentornato Gabriel Knight, bentornata Jane Jensen, signora della narrazione interattiva. Ci alziamo in piedi e ci togliamo il cappello, di fronte alla tua opera. Comprate questo titolo e fatene tesoro: non troverete molto facilmente qualcosa allo stesso livello.
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