Google ha condotto degli esperimenti davvero interessanti sul Pixel, il suo famoso smartphone, ed in particolare, lo sblocco dello stesso dispositivo tramite riconoscimento dell’iride.
Come sottolineato da Hdblog.it, per comprendere al meglio tali test bisogna fare un salto indietro di circa 4/5 anni, quando appunto Google aveva deciso di condurre delle sperimentazioni per verificare l’efficacia di questo tipo di strumento di sicurezza, uno step in più per poter sbloccare appunto il proprio cellulare tenendolo protetto dai tentativi di intrusione dei malintenzionati. Alla fine poi non se ne fece più niente ma come spiegato da Hdblog.it: “Non deve di certo stupire il fatto che un produttore di smartphone lavori sull’implementazione di una determinata caratteristica senza tuttavia darne seguito: l’esemplare mostrato da Internal Archive su Twitter altro non è che un’unità in fase di test che manca tra l’altro di diverse funzionalità”. In quel Pixel mostrato via social troviamo infatti il LED IR e la fotocamera anteriore con filtro IR, mentre manca il sensore da 8 megapixel, quello che è stato poi montato sulla telecamera frontale, la cosiddetta selfie cam. Ma cerchiamo di capire meglio come funziona lo sblocco tramite riconoscimento dell’iride. Nel Pixel 2 era stata inserita un’applicazione denominata IrisDemo che permetteva appunto di registrare le iridi posizionando gli occhi all’interno di due cerchi che venivano mostrati sullo schermo.
La sperimentazione non ha avuto comunque seguito visto che sui Pixel 4 e 4 XL si è preferito il radar Soli, poi ulteriormente abbandonato con i modelli successivi, fino ad arrivare ai Pixel 7 e 7 Pro dove ha fatto il debutto un nuovo sistema di riconoscimento facciale, utilizzabile però solo per sbloccare lo smartphone e non per accedere alle applicazioni protette da autenticazione biometrica o per effettuare pagamenti. Si tratta quindi di un doppio livello di sicurezza, di modo che, anche se qualcuno riuscisse a sbloccare il nostro telefono, non potrebbe comunque intrufolarsi nelle app più “sensibili” che rimarrebbero così al sicuro. Per queste ultime serve infatti l’impronta digitale, e/o PIN, sequenze o password efficaci. C’è stata comunque un’azienda che in passato ha utilizzato il riconoscimento dell’iride, leggasi Samsung, che aveva usato questa tecnologia nel 2017 con il Galaxy S8, ma con risultati non soddisfacenti.
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