Google è finita nell’occhio del ciclone dopo le accuse mosse dalla famiglia Gonzalez nei confronti dello stesso Big G. La loro figlia, Nohemi, americana 23enne che studiava a Parigi, venne uccisa durante gli attentati di novembre del 2015 mentre si trovava in un caffè assieme ad amici per una cena.
Ma cosa c’entra il colosso della big tech con questa tragica morte? Secondo la famiglia, come si legge su Wired, l’Isis avrebbe pubblicato “centinaia di video che incitano alla violenza e reclutano potenziali sostenitori” su YouTube, di proprietà del colosso di Mountain View, di conseguenza il noto canale di video viene considerato dai Gonzalez una sorta di mezzo utilizzato appunto dallo Stato Islamico per trovare nuove reclute. Gli avvocati sostengono che gli algoritmi della piattaforma abbiano indirizzato contenuti a “utenti le cui caratteristiche indicavano che sarebbero stati interessati ai video dell’Isis”. In un’editoriale del 2018 pubblicato sul New York Times la sociologa Zeynep Tufekci, sottolineava che Youtube “poteva essere uno dei più potenti strumenti di radicalizzazione del XXI secolo”, a causa proprio della propensione a fornire contenuti sempre più estremi. Ad esempio, se si inizia a guardare i filmati sui jogging si finisce per vedere video sulle ultramaratone, partendo dai comizi di Trump si arriva ai comizi dei suprematisti bianchi e via discorrendo.
Si tratta ovviamente di un caso molto delicato, e la Corte suprema americana ha fatto recentemente sapere di aver iniziato a esaminare il caso della famiglia Gonzalez. Secondo due corti d’appello, aziende come Google non possono essere responsabili dei loro algoritmi, ma le sentenze sono state molto dibattute, ed ora toccherà all’organo supremo a stelle e strisce esprimersi in maniera definitiva sul caso. “Ci sono molte ragioni – sottolinea Wired – per essere scettici sul fatto che la famiglia Gonzalez alla fine prevarrà in questa causa”. Se infatti gli avvocati riuscissero a dimostrare che gli attentatori hanno guardato video sull’Isis da Youtube, non è chiaro come si possa collegare la visione di tali filmati alla morte di Nohemi. Il tutto potrebbe essere nelle mani di una legge scritta più di 25 anni fa, la section 230 del Communications Decency Act, in cui si legge: “Nessun fornitore o utente di un servizio informatico interattivo può essere considerato come l’editore o il diffusore di qualsiasi informazione pubblicata da un altro fornitore di contenuti informativi”. Si tratta di una tutela ai siti web che offrono contenuti di terzi, come appunto il caso di Youtube.
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