Stadia sta continuando a perdere pezzi come un satellite in caduta. Google ha ora confermato che anche John Justice, il vicepresidente e Head of Product, se ne è andato.
Questa di Google Stadia si sta trasformando lentamente in una specie di catastrofe modello Titanic con un fuggi fuggi che sa molto di naufragio. Prima era stato Jade Raymond che oltre ad andarsene da Stadia si era poi aperto un suo studio in collaborazione con Sony PlayStation e ora arriva quest’altra tegola.
E tutto sembra essere cominciato con l’annuncio ufficiale della chiusura della sezione Games and Entertainment, che aveva colto tutti un po’ di sorpresa, developer compresi.
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John Justice, quindi, è solo l’ultimo in ordine di tempo dei grandi nomi che hanno prima fatto il salto nel gruppo Stadia e poi se ne sono sfilati per cercare altrove. Justice, come Raymond, si era unito al team di sviluppo della sezione videogiochi nel 2019 in qualità di vicepresidente e di head of product. E mentre sul suo profilo LinkedIn non sembra essere cambiato nulla, Google ha dovuto ammettere che Justice non è più della partita.
Il ruolo di Justice, in Google Stadia, era quello di supervisionare l’esperienza dei consumatori e nella sua breve parentesi aveva anche fatto qualche annuncio riguardo le novità della piattaforma. A dicembre, poi, aveva chiarito che non ci sarebbero state dichiarazioni sulle novità prima dell’implementazione effettiva delle nuove feature.
Qualcuno sta anche cercando di capire che ne sarà di Google Stadia nel suo complesso e se la rotta presa dal servizio possa in qualche modo essere un monito agli altri servizi di streaming. Questo qualcuno è Bruce Grove, CEO di PolyStream ed ex Senior Manager di OnLive, uno dei primi servizi di streaming on demand che ha chiuso i battenti nel 2015. Parlando della chiusura della sezione sviluppo, Grove ha probabilmente centrato il problema “la chiusura dello studio di Stadia è un indicatore chiave del fatto che hanno imboccato una strada familiare perchè non hanno sistemato le basi“. E le basi, secondo Grove sono l’avere una tecnologia in grado di gestire “gli imprevedibili picchi di utenti contemporanei, non persone che si iscrivono ma milioni di giocatori che giocano”.
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E, sempre secondo Grove, il problema è stato anche il tipo di titoli che il team di sviluppo di Stadia doveva produrre: qualcosa di importante ma senza dover lavorare per anni o senza il bisogno di un pubblico immenso per risultare profittevole. Nozze con i fichi secchi insomma.
Parleremo mai di Google Stadia per qualcosa di positivo che non sia l’abbandono di un altro membro del suo team? Noi ci speriamo ancora.
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