Gli scienziati di Google hanno sviluppato il primo programma in grado di imparare una grande varietà di compiti in modo indipendente: si tratta di quello che viene considerato il primo passo significativo verso una vera intelligenza artificiale.
Lo stesso programma, o “agente”, come lo chiamano i suoi creatori, ha imparato a giocare 49 diversi retrogame, adottando delle proprie strategie per riuscire a vincere. In futuro, lo stesso approccio potrebbe essere utilizzato per implementare il pilota automatico nelle macchine, gli assistenti personali negli smartphone e per condurre ricerche scientifiche di vario genere.
Il programma è stato portato avanti da DeepMind, la società britannica acquistata da Google lo scorso anno per 400 milioni di sterline, il cui obiettivo è quello di costruire “macchine intelligenti”. Demis Hassabis, fondatore della società, ha dichiarato: “Questo è il primo gradino della scala verso la dimostrazione del funzionamento di un sistema di apprendimento artificiale.”
All’agente di DeepMind viene semplicemente dato un input, in questo caso i pixel che compongono lo schermo nei giochi Atari.
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Quando il programma comincia a giocare, si limita a guardare i fotogrammi del gioco e fa pressione su un tasto a caso per vedere cosa succede. Hassabis avrebbe infatti riferito: “Un po’ come fa un bambino quando apre gli occhi e vede il mondo per la prima volta.”
L’agente utilizza un metodo chiamato “apprendimento profondo” per trasformare gli input visuali di base in concetti significativi, allo stesso modo in cui il cervello umano prende informazioni sensoriali e le trasforma in una ricca comprensione del mondo. L’agente è poi programmato per capire cosa è significativo, grazie al processo “apprendimento di rinforzo”: in pratica, il programma si “segna” ciò che è buono e ciò che non va bene.
In questo modo, dopo diversi tentativi, il computer riesce a trovare soluzioni che magari sono sfuggite persino ai ricercatori. Vlad Mnih, uno dei membri del team di Google, ha detto: “È sicuramente divertente vedere il programma scoprire cose che non abbiamo capito da soli.”
Hassabis ha quindi affermato che questa ricerca dimostra come i computer possano “scoprire le cose da soli”, in un modo simile a come facciamo noi esseri umani.
FONTE: The Guardian