Il panorama della produzione di videogiochi nel nostro Paese è decisamente sfaccettato. Lo fotografano i dati del nuovo censimento Iidea sulle imprese che sviluppano videogiochi in italia. Lo sviluppo, rispetto al 2018 c’è stato, ma c’è ancora molto margine di crescita in un settore che, come consumatori, ci vede invece ai primi posti.
Stando a guardare gli ultimi dati del censimento Iidea sembra che, innanzitutto, la pandemia non abbia bloccato del tutto la produzione, ma che la nostra produzione di videogiochi stenti ancora comunque a fare quel salto di qualità necessario perché la filiera possa crescere in maniera organica.
Quello proposto quest’anno è il quinto censimento del settore. Hanno partecipato oltre 90 imprese che producono videogiochi e oltre 60 imprese individuali, liberi professionisti e altri tipi di organizzazioni che sono coinvolte nello sviluppo.
Il dato positivo è che il numero globale dei professionisti che si occupano di videogiochi rispetto al censimento precedente è aumentato. Crescita che si è avuta anche durante la pandemia. Ma, come fa notare anche l’amministratrice delegata di Milestone Luisa Bixio, c’è un problema di fondo: manca la corretta percezione del videogioco.
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Scorrendo il censimento fatto da Iidea alcuni dati positivi saltano subito all’occhio, quest’anno un terzo delle imprese che hanno partecipato al sondaggio rientra a tutti gli effetti nella definizione di piccole e medie imprese, hanno cioè almeno 10 dipendenti. Un quinto delle società addirittura ha più di 20 dipendenti. Positivo anche il fatto che il Governo centrale sembra essersi finalmente reso conto che il videogioco può essere, anzi in molti Paesi già lo è, un’impresa creativa e una fonte di reddito e che come tale può e deve essere sostenuta.
Ne è un esempio il recente Tax Credit che va alle imprese che fanno videogiochi e che si configurerebbe come un bonus pari al 25% del credito di imposta, che attende ora il vaglio della Commissione europea. Il covid-19 ha influito in maniera relativa sulla produzione. In particolare quello di cui molti si sono lamentati sono stati i ritardi della chiusura dei contratti con gli editori, gli investitori e i partner ma non nello sviluppo del lavoro che, già così, si svolge molto spesso in remoto.
L’Italia è però ancora un mercato a livello di produzione molto piccolo che rischia di non crescere accontentandosi di rimanere locale. Lo sviluppo di videogicohi in Italia deve quindi uscire dall’ottica del passatempo e smettere di vergognarsi: produrre videogiochi è un lavoro. Come tale va percepito a tutti i livelli.
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