In un recente articolo pubblicato da Il Fatto Quotidiano, la giornalista Linda Maggiori commenta una ricerca condotta dallo psicologo Aric Sigman, che ha dimostrato come trascorrere troppo tempo davanti agli schermi provochi mutamenti nel cervello dei bambini piuttosto simili a quelli riscontrati nei cocainomani e negli alcolisti.
Stando all’articolo, la maggior parte dei bambini a sette anni ha già passato un intero anno della propria vita davanti alla televisione e ai videogiochi; inoltre, gran parte dei giovani tra i 12 e i 15 anni avrebbe accesso a ben cinque schermi durante la giornata: quello in sala, in camera da letto, quello della console portatile, del PC e dello smartphone.
Vengono poi riportate le conseguenze che può avere la dipendenza dai videogiochi: afferma infatti che l’impatto sul cervello dei bambini comincia già dopo due ore di utilizzo di strumenti tecnologici e può portare problemi di salute come l’obesità, l’ipertensione, problemi di apprendimento, colesterolo alto, disturbi del sonno e depressione.
Ma la critica della giornalista è rivolta ai genitori, che spesso non si curano di ciò che fanno i loro figli e, anzi, contribuiscono a renderli dipendenti dagli schermi. Basti pensare che molti adulti mettono in mano ai bambini smartphone e tablet già in tenera età per “farli stare buoni”. Lo studio che cita la giornalista d’altro canto si contrappone a quello Dr. David Greenfield (di cui abbiamo parlato QUI), il quale dice che l’utilizzo di sistemi elettronici non ha soltanto effetti negativi ma, al contrario, alcuni videogiochi stimolano il cervello e possono aumentare le capacità di multitasking. La parte finale dell’articolo infine è piuttosto opinabile: d’altronde ci sono molti programmi televisivi educativi e formativi, così come libri demenziali.
Viviamo in una società dove i videogiochi vengono presi di mira e pare che spesso le persone siano contente di screditarli in tutti i modi. Con questo non vogliamo dire che la dipendenza dai videogame non esista, come per ogni attività è sempre bene non abusarne, ma da qui ad avvicinarla a quella dei tossicodipendenti “ci passa un oceano”.
Vi rimandiamo all’articolo, lo trovate QUI.