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IN-EAR – Crypt of the Necrodancer e l’utilizzo diegetico della musica

Questa settimana, a IN – EAR, parleremo di un titolo indipendente particolarmente curioso e innovativo, che mischia e intreccia musica e gameplay: Crypt of the Necrodancer.

Fonte: “YouTube”

Nel caso del titolo indie risalente al 2015, il caso risulta probabilmente più semplice da trattare ma non per questo meno importante: il concetto del rhytm game è sempre stato interessante, dato che privilegia, appunto, la componente sonora e la pone sullo stesso piano (se non addirittura la pone più in alto, in un rapporto in cui da essa dipende il resto) rispetto al gameplay.

Il titolo, infatti, ha un ritmo, ma non parliamo di pacing narrativa o climax, perché, appunto, parliamo di un videogioco che ha reso la musica come principale mezzo del proprio gameplay, facendolo diventare un elemento diegetico a tutti gli effetti. Oggi, analizzeremo il sodalizio tra dungeon crawling e giochi a ritmo di musica, oltre ad esaminare la fantasia compositiva e creativa di Danny Baranowsky, che fonde la techno con altri generi musicali saldandoli al contesto simil-fantasy.

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King Conga e il metal dei morti

Il titolo ha avuto un porting su Switch, può essere giocato con la pedana per ballare tipica dei videogiochi musicali e ha dato la luce a Cadence of Hyrule, un titolo simile ambientato nel mondo di Zelda. Fonte: “Nintendo”

Per i meno pratici, Crypt of the Necrodancer è un titolo che parte con il presupposto di fondere le meccaniche dungeon crawling tipiche dei titoli rogue-like al ritmo e alla cadenza dei rhytm game. Il personaggio, Cadence, privata del suo cuore, dovrà muoversi a tempo di musica per potersi destreggiare agevolmente all’interno di una struttura organizzata in piani, il classico dungeon, pieno di mostri e creature che si muovono a tempo di musica.

Il sodalizio, quindi, per certi versi, ribalta ciò che si è visto sinora con la rubrica: la musica, da sottofondo di gioco, o comunque da apparato complementare che rinforza la struttura del gioco stesso o esprime concetti politici assieme al titolo stesso, si trasforma in qualcosa di più.

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Il rapporto gerarchico del videogioco, dove le componenti privilegiate sono il video e la componente del ludus, sembra aggiornarsi, con una piccola rivoluzione: ora il gameplay, se non alla pari, dipende assolutamente dalla componente sonora, che per questo subisce un trattamento di riguardo e deve essere curata quanto più possibile, dato che ora ricopre una nuova funzione rispetto a quella tradizionale.

Schermata d’apertura del gioco. Non rende abbastanza l’idea di cosa attende il giocatore. Fonte: “Screenshot Steam”

Muoversi a ritmo, quindi, è assolutamente importante, dato che tutto il sistema di gioco dipende dal beat del brano che viene proposto ad ogni piano. In questo modo, si crea un flow in cui il giocatore si immerge, sincronizzandosi con il personaggio e prova le sue stesse sensazioni, visto che la musica in Crypy of the Necrodancer non è, per dirla in termini narratologici, extra diegetica. Cadence ascolta la nostra stessa musica e si muove a tempo con essa, proprio come facciamo noi interagendo con il mondo attraverso lei stessa. Ed ecco che si crea una profonda immersione nel gioco, che sovrappone protagonista e giocatore facendo sperimentare ad entrambi i medesimi stimoli uditivi: ogni nota, quindi, è intrinsecamente diegetica.

Aneddoti: tra produzione e passione

Il boss King Konga comanda orde di zombie… a ritmo di Konga. Fonte: “Screenshot Steam”

Il compositore, lo stesso che ha donato il suono a Super Meat Boy e al primo The Binding of Isaac, ha cercato quindi di lavorare assieme al team proprio per creare un mood specifico e stabilire un tema ben preciso. Il tema del gioco è proprio la musica stessa, tra mercanti che sono anche cantanti lirici, scheletri che ballano e boss che sono fusioni carne e pixel di creature mitologiche e generi musicali, dove assistiamo all’ibridazione con altri generei come il funk, la konga, il death metal, il blues, il jazz e altro ancora. Il titolo stesso, quindi, tramite il suo aspetto, denota la preponderanza della componente musicale, illuminando le mattonelle del dungeon come se fosse una discoteca. Il risultato è un titolo dal tono preciso, sicuramente non cupo e decisamente intrigante da scoprire.

Tra citazioni musicali che ibridano i diversi generi, Baranowsky ha deciso anche di giocare con la musica stessa, non solo creando le interessanti combinazioni di generi ma rendendo ancora più solida l’idea di musica diegetica del titolo. Infatti, all’interno del terzo piano, il giocatore può muoversi tra una parte fredda e una parte calda del dungeon. Così facendo, non solo incontra mostri diversi ma la musica cambia attivamente in base a dove si sposta il personaggio: l’interazione con le mattonelle fredde o calde approfondisce il legame con la colonna sonora che, mantenendo il medesimo arrangiamento, cambia strumenti. Rispettivamente, da una parte le note vengono eseguite tramite sintetizzatore, in una techno fredda e cervellotica, mentre dall’altra, le note vengono eseguite grazie ad una chitarra elettrica incendiaria che trasuda heavy metal.

Le mattonelle sopra citate: sul freddo techno, sul caldo metal. Fonte: “Nintendo”

Come se non bastasse, anche se tramite un processo non immediatissimo, è anche possibile caricare delle tracce musicali personali in modo da personalizzare interamente la partita, trascendendo il legame tra suono e gameplay offrendo un dialogo diretto e cooperativo con il giocatore, che si trova coinvolto, se lo desidera, nel determinare gli aspetti fondamentali del gioco.

Di fatto, questa scelta, rende definitivo il controllo del suono all’interno del gioco, ovvero il gioco stesso. La presenza diegetica del suono, dove il giocatore, di fatto, controlla ogni singola interazione del personaggio con l’ambiente, muovendo addirittura oltre il concetto e rendendo letteralmente canonico all’interno del gioco una canzone dei Queen, dei Dire Straits, Oasis o qualsiasi altro artista o gruppo musicale vi venga in mente.

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Stefano Sacchi

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