Riot Games ha annunciato in modo ufficiale di aver aperto le selezioni per un nuovo torneo di LOL che si chiama Rising Star. Una idea carina se non puzzasse di sessimo da un chilometro.
E potreste alzare gli occhi al cielo e dire che non va mai bene niente. Ma aspettate almeno di arrivare in fondo al ragionamento e poi decidere se questa idea è o meno intelligente e se, soprattutto, ha senso organizzare un torneo del genere.
League of Legends è di certo uno dei giochi di punta degli ultimi anni, con tornei di proporzioni faraoniche che si giocano in tutto il mondo e con premi in denaro davvero ghiotti. Normale quindi che il suo team di sviluppo continui a organizzare eventi di questo tipo che ci stanno rapidamente avvicinando a un momento in cui potremo scegliere se guardare una partita di calcio o una di Call of Duty senza sentirci dire che stiamo perdendo tempo se scegliamo la seconda. Ma questa operazione di pinkwashing di Riot non ci piace.
Un torneo pensato per trovare nuovE giocaTRICI di League of Legends tra quante giocano nel Nord Europa. Niente di strano. O forse tutto. Perchè Riot è quella stessa società di videogiochi che ha dimostrato più e più volte di essere stata almeno in passato un crogiuolo di sessismo ignobile. Se volete un assaggio di cosa significa vogliamo ricordare un lungo articolo che la collega Cecilia D’Anastasio di Kotaku ha pubblicato nel 2018 raccontando cosa c’era all’epoca, e forse ancora oggi, dietro le porte chiuse dello studio.
E da uno studio che per anni ha valutato il proprio personale in base a quanto hardcore gamer riusciva a essere (e aver trovato che le femmine, no, di solito non lo sono abbastanza tranne qualche eccezione) arriva ora l’idea geniale: un torneo per sole donne. Promosso per aumentare l’inclusione e la diversità tra i giocatori. Ci scuserete se non saltiamo dalla gioia. Perchè se può essere plausibile negli sport tradizionali non riuscire ad avere squadre miste, negli eSport, dove tutto ciò che conta è la testa, che senso ha fare un torneo per sole gamer femmine? Per farle sentire accettate? Per dare alle ragazze un giardinetto in cui tirarsi i capelli?
L’inclusione non si fa creando eventi esclusivi. L’inclusione non si fa con un poster viola e non rosa in cui poi comunque i personaggi femminili sono rappresentati non come forti ma come ammmiccanti. Perchè poi, sotto sotto, neanche dentro Riot sembrano sapere cosa vogliono. Come fa notare anche uno dei commenti su Twitter, per esempio, vengono usate le parole “women” e “female” indistintamente (e no, non è la stessa cosa). Ciliegina sulla torta un sistema per assicurarsi che a giocare siano solo donne/femmine. Un sistema di controllo e di “gender verification” di cui però non si sa molto al momento se non che sarà fornito da DivE, organizzazione che si occupa di promuovere proprio la gender diversity negli eSport. Noi speriamo che il futuro dei videogiochi sia senza colore e la presenza di DivE è comunque un buon segnale. Questo torneo potrebbe servire a convincere le giocatrici a mostrarsi? Forse. Ma se pensate che sia una bella cosa, rispondete anche a questa domanda: davvero dovete sapere chi c’è dietro il pad per entusiasmarvi? E se sì, per cosa vi entusiasmate? Perchè chi gioca è brav* o perchè è femmina ed è brava?
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