Su Metal Gear, chi vi scrive ha davvero tanto da dire. Tanto per cominciare, senza la saga di Hideo Kojima, non sarei qui a parlare di videogiochi con voi. Un amore viscerale e incondizionato per Snake e i suoi parenti, amici e nemici ha accompagnato la mia crescita culturale come videogiocatore prima e redattore dopo, dal lontano debutto del 1987. Un voto che mi spinse a firmarmi come “Revolver” in onore del pistolero dalle due Colt Single Action Army fin dal mio primissimo articolo su carta stampata, a sognare sugli artbook di Shinkawa, fino ad arrivare a stringere la mano all’uomo che condizionò la mia vita nell’istante in cui David Hayter alzò gli occhi nell’ascensore di una base nucleare a Shadow Moses, incrociando il mio sguardo e penetrando lo spesso vetro affusolato della polverosa TV a tubo catodico di mia nonna.
L’impatto iniziale con Ground Zeroes, pad PS4 alla mano, è proporzionale a quello di un treno ad alta velocità sbalzato dai binari e piombato nel nostro salotto come un fulmine di una tempesta estiva.
Già, David Hayter. La sua assenza pesa, oggi, come quella di un leader di un vecchio gruppo di amici universitari ora riuniti in sua memoria. E fin dal primissimo, spettacolare e familiare filmato di apertura di Ground Zeroes. Gli stessi coinvolgenti, cinematografici dieci minuti davanti ai quali milioni di videogiocatori si sono emozionati ai tempi dell’annuncio di Kojima Production. Un prequel di Metal Gear Solid V: Phantom Pain che sa di prefazione, ambientato a un solo anno di distanza dalle vicende di Peace Walker e che mette su schermo stupefacenti effetti particellari a servizio di una suadente gestione dell’illuminazione in real-time (lode al FOX Engine).
Insomma, dopo sei lunghi anni dalle “Armi Dei Patrioti”, capitolo conclusivo del ciclo videoludico del mai troppo apprezzato Solid Snake, MGS torna davanti ai miei occhi e tra le mie mani. Peccato che attese e aspettative di simile portata (per non parlare del sincero affetto emotivo) sono poi soggette con maggior incisione ad aspre, amare delusioni. Ma a queste, ci arriveremo più tardi, perché l’impatto iniziale con Ground Zeroes, pad PS4 alla mano, è proporzionale a quello di un treno ad alta velocità sbalzato dai binari e piombato nel nostro salotto come un fulmine di una tempesta estiva. La più naturale evoluzione possibile dello stealth, le migliorie che avevamo sognato tra una sessione e l’altra di Metal Gear Solid IV, sono realtà.
La struttura in macro aree free-roaming non è più fittizia e incapsulata tra i segmenti dell’epico capitolo PS3, ma diventa cuore pulsante dell’esperienza di gioco, elevando infinite volte le strade percorribili e le scelte da intraprendere. Cambiare armi, gadget e oggetti è finalmente immediato e intuitivo. Ripararsi e sbirciare dall’angolo di un corridoio appare totalmente sotto il nostro controllo. Utilizzare correttamente le tecniche corpo a corpo (CQC) è ora alla portata di tutti. Eppure, la sfida offerta è ben maggiore che in passato. Camp Omega pullula di guardie, con jeep che pattugliano la zona e luci pronti a rivelare la nostra ombra ovunque, spingendoci a esaminare la mappa (ora consultabile in game in forma di ologramma) e a cercare vie sicure sulla base dell’analisi ambientale del GPS.
Cambiare armi, gadget e oggetti è finalmente immediato e intuitivo.
L’intelligenza artificiale dei nemici, anche a un livello di difficoltà base, vi stupirà in più di un’occasione (niente timer che segnalerà la fine o l’attenuarsi delle ricerche, sebbene potremo carpirne l’andamento dalla musica e dalle comunicazioni radio). Insomma, più che su oggetti e sequenze pre-scriptate, la nostra sopravvivenza sarà meritato frutto di acute osservazioni. Anche perché il sistema di targeting dei nemici sulla mappa strizza l’occhiolino più a produzioni come Far Cry e Splinter Cell (visori notturni, uh?) che ai suoi stessi predecessori. Sfilate il binocolo dalla vostra casacca di pelle e dateci dentro con zoom da veri amanti del voyeurismo, così da piazzare sulla testa dei cattivi soldati un comodo segnalatore visibile persino dalla mappa di gioco.
Phantom Pain si conferma come un vero e proprio successore del capitolo PSP della saga in ogni sua forma.
Certo, senza una rappresentazione grafica del loro preciso cono visivo indovinare l’istante giusto in cui sgattaiolare da una copertura all’altra starà alla vostra esperienza o più semplicemente al vostro spirito di sopravvivenza. Come calcolare il momento preciso in cui la distanza tra noi e la testa di un’ignara casacca impermeabile è sufficiente a mandarla nel mondo dei sogni con un pallottola allungata a proteine narcotizzanti.
Il problema diventa infine pruriginoso quando ci si rende conto che Peace Walker è composto da decine e decine di simili missioni
Tutto più reale, insomma. Ma nei limiti di una produzione firmata Kojima. E la vocazione registica del geniale game designer giapponese per una volta lascia spazio al piacere oscuro dello scivolare tra le ombre, squarciare trachee alle spalle di ignari soldati, nascondersi sotto un cespuglio al momento esatto in cui minacciosi fari s’infrangeranno tra le rocce. Per poi esplodere ancora più esperta, sicura e meno influenzata dal cinema d’autore occidentale che in passato. Forte, ricca e grave di una sua personalità. E nel toccante, quasi sconvolgente finale di Ground Zeroes, raggiunge la sua più matura espressione al di là della telecamera virtuale.
Di sicuro, non è tra queste righe la delusione pungente accennata parecchie righe or sono. Sono stati settantanove i minuti necessari ad ascoltare l’immancabile dialogo finale post-credits di gioco, settantanove minuti e due secondi, per la precisione. Sì, come molti di voi già sapranno vi saranno una manciata di missioni secondarie “spec-ops” ad attendervi, una volta finito il “gioco”. Il problema è che inizialmente chi vi scrive temeva di imbattersi in una demo di Metal Gear Solid 2: Sons of Liberty per la next gen. La sessione “Tank”, per intenderci. Invece, mi sono ritrovato di fronte a una singola missione di Peace Walker su PlayStation 4 venduta a 40 euro. Già, perché Phantom Pain si conferma come un vero e proprio successore del capitolo PSP della saga in ogni sua forma. La durata, quindi, è ripresa dal predecessore e anche la presenza di alcune sub quest extra come “premio”.
Il problema diventa infine pruriginoso quando ci si rende conto che Peace Walker è composto da decine e decine di simili missioni, di cui la maggior parte ben più complessa della stessa presente in Ground Zeroes. “Infiltrati, salva un compagno, salvane un altro e salta sull’elicottero”? Andrebbe bene come filastrocca, non come titolo budget. Da pruriginoso, si arriva al “senno di poi”, volgendo lo sguardo verso quel Metal Gear Online che avrebbe sconvolto le carte sul piatto… ma che tornerà soltanto con Phantom Pain. E dal senno di poi, giunge l’amarezza di un voto in parte ingiustificato, date le circostanze. Valutare Ground Zeroes è come valutare il primo boccone di una cena dei capodanno. Almeno, la prima impressione è oltremodo rassicurante, perché questo potrebbe proprio essere il Metal Gear che sognavamo dai tempi di Zanzibar e degli sprite 8-bit. Anzi, quello. Il fratello fantasma… per ora. E se proprio volete la paletta con un numerino che rappresenti prezzo e durata, la trovate proprio qui sotto. Se la rigirate di centottanta gradi, vi apparirà invece la qualità delle emozioni per quell’oretta scarsa di speranze e sogni. A voi la lancetta (e la scelta), quindi.
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