Anche se tutti ricordano le parole che l’imprenditore pronunciò nel 2005 c’è una vecchia intervista di Steve Jobs che ora pare profetica. Il focus riguardava l’intelligenza artificiale.
Nonostante ancora oggi il discorso di Stanford continui a essere citato come monito e incoraggiamento per i giovani, le vere perle del cofondatore di Apple risalgono a vent’anni prima. Sulla rivista Playboy del febbraio del 1985 infatti uscì una lunga intervista di ben 13 facciate. Ma non si parlava di intimo né di argomenti da spiaggia bensì della potenzialità di un computer intelligente. Una AI, in breve.
Ad intervistare Jobs fu il giornalista David Sheff, che si presentò direttamente presso l’ufficio dell’azienda a Cupertino. Una sede che all’epoca sembrava quasi un luogo di ritrovo e dove regnava l’informalità anche per l’abbigliamento. E dopo le classiche domande sull’andamento economico e su progetti futuri si arrivò a parlare di…Aristotele.
Steve Jobs nel 1985 non usò la definizione “intelligenza artificiale” né tantomeno “AI”, parola che non conosceva. Anzi ammise anche che la sua generazione non avrebbe forse visto nulla del genere. Ma parlò di un computer in grado di poter individuare i principi alla base del pensiero di un filosofo o di uno scienziato. Una macchina che potrebbe rispondere alle domande come farebbero Aristotele o altri intellettuali non più in vita.
L’idea di un programma o un computer in grado di catturare l’essenza di una linea di pensiero per l’imprenditore era perfetta per l’educazione. Un modo offrire a un ragazzino la possibilità anche se fittizia di dialogare con chi aveva scritto ciò che studia a scuola. Un sogno che forse lo riguardava in modo personale.
Quando l’intervista uscì 38 anni fa nessuno ci diede particolare peso, pensando probabilmente che Jobs avesse solo molta fantasia. Pare che ad ispirare l’allora giovane imprenditore alle prese con l’azienda in piena crescita fosse stato un viaggio in India avvenuto nel 1974. Anziché un’illuminazione spirituale gli arrivò un’idea ancora troppo avanti per quei tempi.
Jobs aveva notato che nonostante ci fossero giochi fossero basati sugli stessi principi questi fossero tutti diversi tra loro. Aveva quindi iniziato a pensare che i programmi fossero come le persone, simili ma con differenze proprie. Da qui a concepire una forma di intelligenza artificiale il passo è molto breve.
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