La prima cosa che vi salterà all’occhio di Oreshika: Tainted Bloodlines è il suo aspetto artistico, che affonda in radici veramente antiche, rifacendosi nientemeno che ai tradizionali dipinti su legno giapponesi, i cosiddetti ukiyo-e. Questo si traduce all’atto pratico in uno stile visivo caratterizzato dai contorni ben delineati e da vivide chiazze di colore, accompagnato a un delicato filtro “carta da riso”: ammirare tutto ciò in movimento è uno dei principali punti di forza su cui il gioco può contare. Tutto quello che vedrete, dai personaggi ai mostri passando per le location, è stato tratteggiato raffinatamente, e non abbiamo timore a dire che si tratta di uno dei giochi esteticamente più impressionanti per PS Vita, che vi darà la sensazione in più di un momento di assistere a un dipinto che assume vita propria.
Il gioco rimane fondamentalmente un dungeon crawler, dove spenderete la maggior parte del tempo a esplorare i livelli, ampi e pieni di puzzle
Il gioco si configura come un omaggio al Giappone, ed è rivolto quindi a chi ama questa cultura; la storia stessa ricalca lo stile dei racconti popolari giapponesi: si racconta di un clan maledetto, che viene riportato in vita per combattere contro Abe no Seimei, l’essere immortale che ha scagliato il maleficio sul clan. Non si tratta di una trama che vi farà gridare al miracolo, ma certamente è in grado di creare atmosfera e dare una motivazione alle vostre azioni. I membri del clan infatti, a causa della maledizione, invecchiano in fretta e hanno un arco di vita mediamente di due anni; non solo: non possono fare figli con altri umani. Questa premessa introduce l’aspetto cruciale e più originale di questo dungeon crawler: per mantenere in vita il clan dovrete infatti compiere un rituale di unione con gli dei, così che possiate portare alla luce dei bambini.
Il gioco contiene anche un lieve elemento gestionale: potrete infatti far crescere la vostra città, investendo in edifici e negozi.
Inoltre, esiste un vero processo d’invecchiamento all’interno del gioco, e dovrete assicurarvi che, alla vostra morte, ci sia qualcuno che prenda il vostro posto. Wow, chi l’avrebbe mai detto che un dungeon crawler sarebbe potuto essere una metafora così forte dell’esistenza? Il gioco rispetta uno dei dogmi più importanti di un dungeon crawler, ossia la permadeath, e il conseguente attaccamento che proverete nei confronti dei vostri guerrieri. Il ritmo del gioco è scandito dalle loro frequenti morti, spesso accompagnate da commoventi parole di commiato, dando un’intensità alla narrazione e alle vostre scelte sul campo di battaglia.
Gameplay e storia si intrecciano, dunque, dando vita a un sistema assai profondo. Il genitore umano e il dio con cui sceglierete di farlo unire avranno una grossa influenza su come sarà il loro figlio; se avete pensato alle Uova Pokémon, beh, non siete troppo lontani dalla verità. Inoltre, compiere un rituale costerà dei punti Devotion, che guadagnerete durante le battaglie; va da sé che gli dei più potenti siano anche quelli che costano più punti Devotion, per cui sarà di cruciale importanza decidere strategicamente le unioni: potreste infatti decidere di avere una squadra numerosa, ma con personaggi più deboli, oppure impiegare le risorse su pochi soldati ma più forti.
Il gioco si configura come un omaggio al Giappone, ed è rivolto quindi a chi ama questa cultura
Al di là di questo seppur intrigante stratagemma, il gioco rimane fondamentalmente un dungeon crawler, dove spenderete la maggior parte del tempo a esplorare i livelli, ampi e pieni di puzzle; questi danno un senso di ampio respiro, ma è facile perdersi, anche perché non esistono sistemi di mappatura.
Esiste un vero processo d’invecchiamento all’interno del gioco, e dovrete assicurarvi che, alla vostra morte, ci sia qualcuno che prenda il vostro posto.
Oltre a esplorare, passerete il tempo a combattere contro i mostri; il combattimento, a turni, è piuttosto semplice e vi permette di interpretare il Capitano, mentre gli altri tre membri del party potranno compiere un’azione a loro scelta tra tre opzioni disponibili, a seconda delle circostanze. I rapporti tra i personaggi giocano un ruolo cruciale nel combat system: potrete infatti decidere di impartire manualmente un comando, ma in questo modo i vostri alleati percepiranno che non avete fiducia nei loro confronti, e la loro fedeltà ne uscirà compromessa. Ci sono in tutto otto classi di giocatori, che definiscono le armi e le armature che possono essere indossate da un personaggio, che a loro volta avranno un funzionamento diverso sul campo di battaglia.
Un altro twist interessante sono le condizioni di vittoria: non sarete costretti ad abbattere tutti i vostri nemici per vincere, ma dovrete piuttosto concentrarvi sul leader che, se ucciso, decreterà la vostra vittoria istantanea. Le battaglie vi pongono di fronte a un dilemma: più nemici ucciderete, più EXP otterrete, ma perderete tempo prezioso durante il quale il leader nemico potrebbe fuggire, privandovi del loot.
Il gioco contiene anche un lieve elemento gestionale: potrete infatti far crescere la vostra città, investendo in edifici e negozi; questo attirerà abili artigiani, che saranno in grado di forgiare delle armi per il vostro clan, un’aggiunta interessante che tuttavia potete anche decidere di ignorare, automatizzando il processo (lo stesso vale anche per le unioni).
Oreshika è, indubbiamente, un titolo di nicchia. Ma le sue variazioni sul tema e le sue intuizioni, lo rendono interessante se avete già spolpato giochi come Etrian Odyssey. I suoi sistemi possono diventare assuefacenti e, se unite tutto questo a uno stile visivo fortemente d’impatto, avrete un solidissimo titolo per PS Vita, unico nel suo genere.
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