Quanto può essere difficile immaginare di percepire il mondo con gli occhi di un non vedente? La premessa alla base di Perception sta proprio in questa ricerca di un’esperienza di gioco alternativa, che sappia trasmettere, in chiave romanzata, quella che per molti -semplicemente- è la vita di tutti i giorni. Una sfida non proprio alla portata di tutti, ma che i ragazzi di The Deep End Games, già reduci da titoli del calibro di Bioshock e Dead Space, hanno raccolto senza indugi, vittoriosi oltretutto dei risultati ottenuti su kickstarter. Purtroppo, come avremo modo di scoprire, non sempre le buone idee e i curriculum di rilievo sono sufficienti a garantire la qualità del prodotto finale.
L’arrivo di Cassie nella casa in cui si svolge l’intera avventura è dettato dal più classico dei cliché: una serie di incubi tormenta la protagonista ormai da più di un mese e tutti ruotano attorno a una villa situata nei pressi di Boston. Il nostro scopo è quello di indagare tra stanze, scale e corridoi sulle oscure presenze che dimorano tra le fredde pareti di una magione che pare quasi un essere vivente, che reagisce alle nostre scelte e al nostro comportamento. È proprio in questa dinamica l’aspetto più interessante del titolo, che fa scontrare la nostra esigenza di esplorare con il carattere irrequieto dell’immobile, generando un intrigante equilibrio tra momenti di pausa e di esplorazione. Cassie può infatti orientarsi attraverso una tecnica detta ecolocalizzazione (famosa soprattutto per essere utilizzata dai pipistrelli) che le consente di vedere le sagome di ciò che la circonda grazie alle rifrazioni del suono del proprio bastone. Un rumore amico e nemico allo stesso tempo, in quanto la casa sarà sempre in ascolto e non tollererà un abuso del nostro strumento sui freddi pavimenti che calpesteremo, pena l’invio di entità malefiche che ci daranno la caccia nel nostro affannoso brancolare nelle tenebre. In queste fasi emerge l’aspetto più survival di Perception, che offre tutta una serie di comodi nascondigli in cui ripararsi in caso d’emergenza: armadi, letti e persino bozzoli giganti di non si sa quale precisa natura. L’altro nostro grande alleato in tale missione sarà uno smartphone con il quale leggere i documenti reperiti in giro (grazie a un software di sintesi vocale) e scattare foto che ci verranno descritte dai membri di una community online.
Tutte queste feature, che sulla carta assumono una loro originalità in un panorama videoludico che fatica sempre più a trovare nuove idee sul fronte del gameplay, non sono sufficienti a sorreggere il peso di un’esperienza che risulta lenta, faticosa e senza mordente alcuno. La narrazione procede essenzialmente attraverso le parole della ragazza, che pensa e rimugina su tutto ciò che le accade, ma non riesce a dare un vero e proprio senso al titolo, almeno fino alle battute finali, quando ormai è troppo tardi per risollevarsi. Stanza dopo stanza si rivivono esperienze di un passato fumoso e disorganizzato, che richiede estrema attenzione al giocatore proprio in virtù dell’assenza di elementi visivi da memorizzare e interpretare. Si analizzano oggetti, si leggono note e si ascoltano registrazioni, ma manca un tessuto solido che tiri le fila di una trama suddivisa in quattro atti difficili da ricostruire, specialmente in virtù dei lunghi tempi morti che intercorrono tra un evento e l’altro. Accade fin troppo spesso di perdere l’orientamento a causa dell’impossibilità di sbattere compulsivamente il bastone per orientarsi ed è in questi momenti che la frustrazione per l’incapacità di andare avanti emerge in maniera violenta. Si gira per la casa quasi senza una meta, ma soprattutto senza tensione, poiché si capisce fin da subito che basta rimanere calmi e non perdere la pazienza per evitare di incontrare delle demoniache presenze che perdono immediatamente ogni tratto di minaccia. Nel corso del nostro playthrough, durato circa 3 ore, sono state davvero poche le volte in cui siamo incappati in questi fantasmi ed essenzialmente si è trattato di momenti legati alla storia, apparentemente inevitabili. In questi casi è bastato comunque nascondersi una decina di secondi per evitare del tutto il problema, visto che i nemici si limitano a fare una breve ronda per i corridoi senza realmente darci la caccia nei nascondigli presenti. Insomma, se sperate di provare emozioni forti e brividi lungo la schiena, Perception non è il gioco che fa per voi.
Da un lato può sembrare comprensibile la volontà di dare un respiro diverso al gioco, che impone tempistiche rallentate a causa della mancanza di uno dei nostri sensi fondamentali, ma a conti fatti si tratta di una scelta infelice che mal traduce la percezione di un non vedente e compromette l’esperienza intera. Il rischio è davvero quello di annoiarsi fin troppo alla svelta a causa di sequenze poco caratterizzate e diversificate tra loro, soprattutto per lo stile grafico utilizzato che non aiuta per niente a calarsi in situazione.
L’aspetto visivo di Perception è infatti estremamente minimale, fatto di sagome e linee che descrivono nella loro essenzialità gli ambienti e le forme che ci circondano, garantendo quel minimo di spazialità necessaria a orientarsi nella villa. Il problema sta nell’estrema povertà dell’impianto grafico, che, nonostante si avvalga dell’Unreal Engine 4, è spoglio e monotono sul fronte artistico, indipendentemente dal fatto che l’ecolocalizzazione impedisca fisicamente di inserire enormi quantitativi di dettagli su scena. Tutto è buio per la maggior parte del tempo e solo con il nostro intervento (o con alcune fonti di rumore ambientali) è possibile tingere di blu per qualche istante gli oggetti che ci circondano. Le stanze e i corridoi sono troppo simili tra loro e confondono terribilmente il giocatore, se si escludono alcuni momenti chiave della storia un po’ meglio caratterizzati. La stessa permanenza delle sagome a seguito dell’utilizzo del bastone è davvero troppo breve per poter quantomeno godere di un level design che -invece- scompare e si scontra con il gameplay, in un bilanciamento poco ragionato che si scava la fossa da solo. La versione da noi provata su Playstation 4 non brilla quindi dal punto di vista grafico e, anzi, si lascia poco apprezzare proprio nell’ottica di avere meno intralci possibili per raggiungere la fine.
Perception è un titolo che parte da ottime premesse, ma che non riesce a tradurre concretamente ed efficacemente ciò che sta alla base del suo concept. L’idea di un’avventura horror vissuta nei panni di un non vedente esce massacrata da ritmi lenti, grafica poco ispirata, ma soprattutto da una trama confusa e senza mordente, che annacqua il tutto infliggendo il colpo di grazia a una produzione che, altrimenti, avrebbe potuto avere una sua dignità. Invece Perception fatica e lo fa terribilmente dall’inizio alla fine, risultando un prodotto indirizzato a chi non può proprio fare a meno di avventure horror e non cerca esperienze immediate o dotate di particolare carisma. Solo per veri coraggiosi, ma nel senso negativo del termine.
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