L’idea che sta alla base di Pupeteer è semplice e, per certi versi, quasi poetica: quella di regalare a un bambino un gioco multiforme, movimentato, lontano dai cliché ormai rodati (e sin troppo abusati) fatti di visuali in prima persona e proiettili che volano in giro. È l’idea di Gavin Moore, sviluppatore eclettico e padre di famiglia, in risposta a quella che è la richiesta di un bambino: suo figlio.
Puppeteer racconta una storia dalle tinte fiabesche, il cui protagonista è lo spirito di un bambino della terra, Kutaro, incarnato nel legnoso corpo di un burattino.
Puppeteer nasce così, da una chiacchierata su di un divano e dal desiderio di Moore di dedicare al proprio figlio un intrattenimento che lo avvinghi, lo diverta, gli faccia ritrovare il piacere ludico autentico ormai sacrificato da tante, forse troppe, software house. Sotto l’egida di Sony, e in casa di Japan Studio (forse, non a caso, uno dei più estrosi team sulla piazza), Moore sviluppa quindi l’idea di creare un mondo di gioco in cui ciò che c’è sullo schermo non resti dov’è per più di 10-15 minuti. Un cambio di scenografie continuo in cui l’utente, qui nei panni di un dinoccolato burattino, sia continuamente colto di sorpresa. Preso spunto dal teatro Bunraku giapponese (una particolare forma di teatro, in cui i burattini sono quasi a grandezza naturale, e molti deus ex machina restano a vista del pubblico), e mescolato il tutto con la più squisita cinematografia di stampo burtoniano, More confeziona un platform dallo stile classico in cui l’azione a schermo scorre con ritmo frenetico, e la cui direzione artistica pare ricordare da vicino quei patchwork digitali già sperimentati in lavori come LittleBigPlanet.
Subite un colpo, e la vostra testa cadrà, lasciandovi tre secondi (la famosa “regola dei tre secondi”) per recuperarla prima di perderla definitivamente.
Ambientato sulla Luna, in un regno colorato e sfaccettato che ben poco ha da condividere con la desertica desolazione del nostro reale satellite naturale, Puppeteer racconta una storia dalle tinte fiabesche, il cui protagonista è lo spirito di un bambino della terra, Kutaro, incarnato nel legnoso corpo di un burattino. Un ragazzino, uno dei tanti sfortunati servi del malvagio Re Orso che, dopo aver spodestato la Regina della Luna, ha assoggettato l’intero asteroide alla sua bieca volontà rapendo, in concomitanza, le anime dei bambini della Terra per farne degli schiavi. Kutaro, tra questi, un po’ per sorte, un po’ per destino, si ritroverà quindi a intraprendere una rocambolesca fuga che, oltre a fare da incipit narrativo, ci farà anche da breve tutorial sulle meccaniche fondamentali del gameplay, fortemente radicate ai classici stilemi del genere platform in cui, tuttavia, si colloca l’interessante possibilità di “tagliuzzare” alcuni elementi dello scenario. Il burattino, infatti, nel corso della sua fuga dal castello del Re, si imbatterà in un prezioso e potente artefatto: Calibur. Un paio di forbici magiche e animate con la cui lama è possibile tagliare qualsiasi cosa. Da qui, senza troppo rivelare, partirà il viaggio del nostro eroe che, nel mentre, si imbatterà in tutta una serie di comprimari dalle fattezze squisite e dal carattere quanto mai definito, tra cui la misteriosa Picarina, una fata della corte del Sole il cui salvataggio sarà, di fatto, la nostra prima, grande, missione.
Per ciò che concerne la mera componente ludica, Puppeteer abbraccia un sistema di meccaniche ampiamente noto, fatto di salti, collezionabili, sezioni su binari e avvincenti boss fight.
Protagonista indiscusso della produzione è tuttavia il sistema di taglio offerto dalle forbici Calibur, grazie al quale, com’è ovvio aspettarsi, è possibile tagliare una lunga serie di oggetti e nemici, influendo al titolo anche un’inattesa varietà, sia dal punto di vista del gameplay che della semplice resa artistica. Kutaro, armato delle sue forbici, potrà quindi tagliare i nemici, menomare boss o, perché no, risalire superfici verticali o raggiungere sporgenze remote semplicemente tagliuzzando foglie, arazzi, pendagli e quant’altro il team abbia contestualmente inserito nel folto numero di scenari.
Altra curiosa introduzione è poi il sistema di “vite”, qui rappresentato da un gran numero di teste “switchabili” reperibili nel corso dei diversi playtrough.
A ogni testa corrisponderà una vita, per un massimo di tre teste, e ognuna di esse non solo godrà di una propria meticolosa caratterizzazione, ma anche di una apposita animazione che, in determinati punti (accuratamente segnalati da un’immagine sullo sfondo) permetterà di sbloccare bonus, aree segrete, e quant’altro ci si aspetterebbe da un platform di questo stampo. Subite un colpo, e la vostra testa cadrà, lasciandovi tre secondi (la famosa “regola dei tre secondi”) per recuperarla prima di perderla definitivamente. Non mancano poi collezionabili, un’ottima (e ostica) rigiocabilità dei livelli (immaginate solo che le teste disponibili sono circa centinaio, e che praticamente a ognuna è assegnato almeno un qualche tipo di sbloccabile), nonché un’ottima curva di apprendimento che subisce flessioni leggere solo in presente delle boss fight, decisamente alla portata di tutti. Ogni boss possiede il suo pattern di attacchi, il suo stile e le sue azioni contestuali che, nonostante le premesse, si risolvono però in un lungo (ma divertente) quick time event.
A conti fatti, quindi, Puppeteer non è un gioco per bambini, almeno non secondo quello che “per bambini” significa nell’immaginario odierno.
Mescolando sapientemente i tratti tipici del cinema di Tim Burton con trovate teatrali prese dai copioni dei Monty Python, e calando il tutto nel contesto teatrale tipico della cultura nipponica, Japan Studio confeziona per mano di Gavin Moore un platform che ha il gusto e il fascino dei giochi della vecchia guardia in cui le trovate sono sempre una sorpresa e al quale sottende, quasi in controtendenza al genere, anche una storia affascinante e splendidamente rappresentata. I tocchi di classe della rappresentazione, così come le rodate meccaniche delle piattaforme regalano una piccola grande perla di intrattenimento e divertimento, perfettamente fruibile tanto dai grandi quanto dai bambini.