Recensione con voto di Atomic Heart, un videogioco che sorprende e convince appieno. Ecco cosa dovete aspettarvi vestendo i panni di P-3.
Da quando è stato annunciato nel lontano luglio 2017, Atomic Heart ha fatto parlare e anche parecchio di sé. Il videogioco sembrava davvero troppo bello per essere vero, e per molte persone era di fatto così. Soprattutto quando gli sviluppatori di Mundfish si sono chiusi dietro un sospettabile e lungo silenzio ed hanno rinviato un titolo che sembrava davvero promettere troppo per essere un’opera di esordio di un team che aveva ancora tutto da dimostrare. Ebbene oggi possiamo dire non solo che Atomic Heart esiste, è reale, e potete giocarci. Ma anche che merita la vostra attenzione.
Atomic Heart ci porta in una storia alternativa in cui l’URSS, dopo la Seconda Guerra Mondiale e una epidemia devastante, ha concentrato importanti risorse sullo sviluppo tecnologico e scientifico. La punta di diamante del cambiamento tecnologico sovietico è lo scienziato Dimitry Sechenov, padre del “polimero“. Un composto fondamentale che permetterà la “polimerizzazione” dei tutti i cittadini dell’URSS, e così la fusione tra biologico e sintetico, per la nascita di un nuovo “Kollectiv“. Una rete neurale che ha l’obiettivo di unire tutte le menti, lasciando le macchine a svolgere il lavoro più duro. Poco prima del lancio del Kollectiv, però, qualcosa di orribile accade nella fantascientifica Struttura 3826. Un tradimento interno ha spinto i robot ad attaccare tutti gli umani del complesso, facendo un massacro. Tra automi assetati di sangue, esseri biologici impazziti, esperimenti scappati, complotti e contro-complotti, nei panni dell’agente speciale P-3 dovremo cercare di mettere le cose a posto. Scoprendo passo dopo passo i terribili segreti che si celano dietro il nuovo sogno socialista, e il vero significato di Atomic Heart.
Atomi Heart: una storia russa
Il Maggiore Nachaev non è di certo il miglior protagonista della storia dei videogiochi. Purtroppo il nostro protagonista non ha un bel rapporto con CHAR-les, ovvero il potentissimo guanto speciale che ci permette di interagire con il mondo circostanze. Soprattutto all’inizio assisteremo alla solita dinamica in cui il nostro aiutante ci darà dei fondamentali consigli per la sopravvivenza, a cui P-3 risponderà chiedendogli di chiudere il becco, di andare a quel paese ecc ecc. Fortunatamente la situazione migliora nettamente col tempo, quando CHAR-les aiuterà il nostro eroe a riflettere su quanto sta succedendo e soprattutto a farsi delle domande sulla sua lealtà assoluta nei confronti del professor Sechenov e dell’Unione Sovietica in generale.
In certi casi però il rispondere in modo violento e volgare di P-3 a certe situazioni crea dei momenti comici che funzionano davvero, come quando siamo dinanzi ad un eccessivamente puntiglioso capotreno, o incontriamo un robot Tereshkova terrorizzata dal massacro che ha appena visto, ma che non dispone della programmazione per la simulazione di emozioni adatta per manifestare il trauma. Alla fine tutti i personaggi sono piacevoli e la storia di Atomic Heart funziona bene, senza stupire e senza avere difetti imperdonabili.
“Compagno, compagno” e poi giù con le armi da taglio
Atomic Heart è incredibilmente piacevole da giocare. Per fare a pezzi i nemici useremo due tipi di armi principali: corpo a corpo e a distanza. Ognuna è ben distinta e caratterizzata. Ogni arma corpo a corpo ha un attacco caricato diverso e ogni arma a distanza una modalità di fuoco secondario unica. Quando si costruisce un’arma in Atomic Heart, attravero le tante perverse, volgari e folli macchine NORA, ne sbloccheremo la versione base. Dovremo quindi potenziarle man mano, modificandone l’aspetto e le funzioni, dovendo anche prendere delle decisioni che si escludono a vicenda, spendendo così i diversi tipi di materiali e di risorse che si raccolgono.
Le armi possono anche essere potenziate mediante cartucce che si trovano nel mondo di gioco. Così possiamo ad esempio sparare proiettili di ghiaccio con il nostro kalashnikov, quindi avvicinarci al bersaglio e colpirlo con una lama infuocata, infliggendo quattro danni diversi: proiettili, lama, giacchio e fuoco. Oltre alle classiche armi da fuoco ci sono anche delle armi che arrecano danni elettrici, con effetti devastanti contro i nemici sintetici. I nemici sono un po’ “spugnosi”, ma la sensazione è meno netta rispetto a quanto si vedeva nei trailer precedenti. Nota positiva il fatto che i nemici subiscano il danno esattamente nell’area in cui vengono colpiti. Un taglio orizzontale sul petto di un robot comporterà effettivamente un taglio a quell’altezza sulla sua corazza, permettendo di curiosare nella ferita. E così via per arti, gambe e testa. Un dettaglio che però conferisce soddisfazione e permette di meglio registrare i colpi inferti. Purtroppo manca la possibilità di parare i colpi in combattimento, e questo certe volte significa dover prendere parecchi colpi quando si finisce incastrati all’angolo. Questo causa un po’ di frustrazione in alcuni casi, in cui l’assenza di questa meccanica si fa sentire.
Chiudetemi in questo dedalo!
La struttura di Atomic Heart è a micelio, ovvero come le radici dei funghi. Non c’è un vero e proprio corpo centrale, e non è un open world in senso classico. Il Complesso Chelomey è caratterizzato da diverse strutture sotterranee che affondano sempre di più nel sottosuolo, collegato da piccole porzioni open world, con una linea ferroviaria parzialmente distrutta ad unire il tutto. Il gioco dà il meglio proprio quando ci troviamo nelle complesse, stratificate e intricate strutture chiuse, i “dungeon“. Dei luoghi in cui il level design, la direzione artistica e la fantasia degli sviluppatori di Mundfish raggiunge picchi incredibili. L’influenza di titoli come Bioshock, Control e System Shock si fa molto più palpabile in questi grossi labirinti ricchi di enigmi ambientali e idee interessanti.
Queste strutture riescono sempre a sorprendere, portando tra uffici, laboratori con esperimenti immorali, enormi sale da esposizione, caldaie, catene di assemblaggio, zone verdi, funicolari, aree comfort e sezioni assolutamente top-secret. Lo stile è unico e credibile, ogni singola zona restituisce perfettamente la sensazione di un’enorme complesso costruito in un’URSS tecnologicamente avanza. Gli ambienti sono ben distinti, coesi, e hanno sempre qualcosa di interessante da mostrare. Purtroppo lo stesso non si può dire delle zone più open world, in superficie. Sebbene il colpo d’occhio è sempre soddisfacente e lo stile piacevole, qui si nota maggiormente il riciclo di asset e si nota un po’ di “vuoto” generale.
Tutti i cineocchi su di me
Proprio come i kinoki di cui parlava il cineasta sovietico Dziga Vertov, sperimentando con le prime camere nascoste, così anche noi saremo costantemente osservati in Atomic Heart. E sebbene questa sia ovviamente una scelta intelligente e credibile, essendo l’intero esercito di robot attivo per fare a pezzi gli umani, ciò tende a rendere particolarmente frustranti le fasi all’aperto del gioco. Tra tantissime telecamere, sintetici intelligentissimi e un level design tutt’altro che permissivo, è facile fare scattare l’allarme e difficile sparire dalla vista dei nemici, soprattutto con un’allerta di livello 2.
Molti robot sono poi uniti in piccole reti locali. Questo significa che se un nemico ci vedrà, allora tutti sapranno dove siamo, e partirà la caccia all’uomo. E per un buon pezzo dell’avventura non sarà possibile sovraccaricare gli Hawks, strutture volanti che funzionano da cervello per queste sotto-reti, causando molta frustrazione nel muoversi tra un dungeon e l’altro. Restando in tema di cineocchi, ricordiamo che il prodotto ha 1.5 ore di cutscene cinematografiche, che reglano sempre momenti molto interessanti. Il titolo ha due finali spettacolari.
Sentirsi nel passato, toccando il futuro
Uno degli aspetti più positivi del gioco è senza dubbio l’intero design dell’audio. Ogni tipi di robot ha un suo tipo di rumore specifico, le pulsazioni delle telecamere dente di leone fanno rabbrividire, così come le grida fameliche degli umani infetti dalle piante sperimentali. Le bocche da fuoco e le lame restituiscono sempre rumori profondi e secchi. Mentre si viaggia nei complessi è possibile sentire urla, lo strisciare di macchine, rimbombi e ogni tipo di suono inquietante che mette sempre il giocatore a disagio. Ottime le musiche. Si passa da alcuni brani di musica classica a pezzi sperimentali con sintetizzatori dell’era, passando per cori tipici della propaganda socialista. Durante i combattimenti la mano egregia di Mick Gordon si sente tutta, con dei pezzi che ricordano parecchio la colonna sonora dei due recenti Doom, su cui ha lavorato. Buono anche il doppiaggio italiano, anche se le voci robotiche sono rese leggermente meglio in inglese. Gli autori consigliano la lingua originale, il russo. In ogni caso è possibile incrociare audio e sottotitoli di lingue diverse, quindi sperimentate liberamente. Ottimo anche il sistema di potenziamenti per Charles.
Sempre attraverso i sistemi NORA si possono spendere le capsule guadagnate nel gioco per sbloccare nuovi poteri del nostro guanto, potenziare il nostro movimento, alcune statistiche, l’efficacia con cui recicliamo energia dal corpo a corpo per le armi elettriche e così via. Sono disponibili ben 5 rami diversi di abilità, con un totale di 94 potenziamenti tra cui scegliere. Il gioco inoltre permette di resettare in ogni momento tutti i potenziamenti, senza penalità, permettendoci così di sperimentare con diverse build. Riuscire a succhiare tutte le risporse dai cassetti, dai bauli e dai resti dei nemici attraverso il nostro guanto-aspirapolvere è un’ottima scelta, che rende il raccogliere risorse meno noioso.
Un inizio stellare
Il primo gioco di Mundfish non è certamente privo di difetti. E mentre i leggeri cali di frame rate e gli sporadici bug che ci hanno icastrato nella mappa sono risolvibili, un protagonista insopportabile nelle prime ore di gioco e delle fasi all’aperto che possono diventare frustranti rimarranno per sempre. Così come un notabile riciclo di asset in alcune zone, con gli stessi cadaveri che si ripetono stanza dopo stanza. Il titolo comunque è assolutamente eccellente nelle zone strette, ha un ottimo feeling generale, un sistema di crescita e potenziamenti pensato sulle esigenze del giocatore e parecchie cose da fare a pezzi. Il combattimento è divertente e tattico, tutt’altro che ripetitivo. I dialoghi sono quasi sempre interessanti e divertenti, e l’intera opera non annoia mai. La colonna sonora pungente e uno stile sovietico memorabile completano un prodotto che può facilmente ambire ad essere uno dei titoli memorabili di questo 2023. Un videogioco che mette Mundfish sulla mappa, e che costringe tutti ad interessarsi dei prossimi progetti del team.
VOTO 8
PRO
– Ci si sente davvero nell’URSS!
– Gameplay divertente e curato
– Direzione artistica sopraffina
– La complessità dei dungeon
– Tutto il comparto audio
– Personggi e situazioni davvero folli
– Il sistema di raccolta delle risorse
CONTRO
– Le fasi all’aperto sottotono e frustranti
– P-3 nelle primissime ore
– Poca fantasia nelle secondarie
– Le lunghe attese in ascensore, anche su next-gen
– Niente parata
– “Cazzo di crostini”
Ricordiamo che Atomic Heart è disponibile su PC, PS4, PS5, Xbox One e Xbox Series X|S, nonché presente sul Game Pass.