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Approfondimenti

RISPONDIAMO AI LETTORI – E’ davvero sbagliato essere un cheater?

Ultimamente abbiamo parlato di Amazon che ha deciso di bandire una buona dose di giocatori di Lost Ark, colpevoli di aver utilizzato tecniche di cheating. Un nostro lettore, che si è firmato GG, ci ha mandato un breve e molto frustrato messaggio attraverso la nostra pagina Facebook dicendo di essere stata una vittima di questo ban e ci domanda se, alla fin fine, non gli sarebbe convenuto essere un cheater vero visto che tanto a quanto pare il servizio clienti di Amazon, almeno nel suo caso, non riesce a sbloccargi il personaggio.

Quello dell’utilizzare sistemi esterni, chiamiamoli così, per poter vincere nei videogiochi è qualcosa che risale ai cabinati. Chi ha giocato nelle sale giochi sa infatti che c’erano all’epoca delle combinazioni di tasti e dei movimenti dei joystick che permettevano in alcuni punti di avere dei superpoteri, superpoteri da sbattere in faccia all’ultimo arrivato ovviamente.

RISPONDIAMO AI LETTORI – E’ davvero sbagliato essere un cheater? (foto: Pexels)

Questi codici segreti sono poi stati traslati anche nei giochi per computer e a quelli per console. E allora la domanda sorge spontanea: se il fenomeno del cheating, quindi del barare ai videogiochi, esiste da sempre, è davvero così sbagliato usare tecniche per vincere è immorale anche nei multiplayer di oggi?

Videogiochi e cheating, ma i ban servono davvero?

La nostra posizione riguardo il barare nei videogiochi l’abbiamo espressa più volte: il fenomeno del cheating dei giochi multiplayer è immorale. Ma, se non stessimo parlando di giochi multiplayer avremmo la stessa posizione? Del resto, a pensarci bene, anche semplicemente il fatto di andare a cercarsi in rete un walkthrough o una guida per poter superare un punto specifico di un gioco single player che ci sta mandando ai pazzi potrebbe essere considerato, e in effetti qualcuno lo fa, come cheating.

RISPONDIAMO AI LETTORI – E’ davvero sbagliato essere un cheater? (foto: Pexels)

E comunque, non è possibile mettere sullo stesso piano quello che uno fa con i giochi single player e quello che si fa con i giochi multiplayer. E quindi, perché le persone barano e soprattutto perché si bara nei multiplayer? Non dovremmo semplicemente percepire l’esperienza come un gioco fatto tutti insieme? Per quelli che non hanno mai utilizzato mezzucci per portare a termine una missione, né in un gioco single player né in un gioco multiplayer, l’idea che si possa perdere tempo e soprattutto soldi (spesso tanti soldi) per avere un vantaggio illecito sul prossimo è inconcepibile. Secondo però lo psicologo Corey Butler esiste comunque una motivazione dietro chi bara nei giochi (anche se il suo discorso si concentrava sui giochi da tavolo): è una questione di autostima. Sostanzialmente chi bara ha bisogno di avere l’approvazione di chi gli sta intorno e tutti gli occhi addosso.  Questo però non vuol dire che il cheating possa essere in qualche modo avallato.

Certo, andando a guardare i numeri degli account bannati anche solo da Amazon su Lost Ark viene da chiedersi quanta gente ci sia con problemi di autostima nel mondo. Tanta, a quanto sembra. Tante persone riversano forse una dose di attenzione eccessiva sui videogiochi, scambiandoli per la realtà. O forse, essendosi convinti di non poter vincere nel mondo reale, tanti si buttano sui mondi virtuali dove le regole possono essere piegate come un cucchiaino (cit) e nessuno muore davvero.

Andando più a fondo, il fenomeno del cheating esiste perchè l’uomo esiste in un ambiente sociale ed è quello stesso ambiente sociale a condannare il cheating come immorale, con le stesse metriche usate per chi ruba al supermercato. Quando abbiamo creato la società che ha creato i videogiochi, involontariamente abbiamo creato anche i cheater. Un gioco di scatole cinesi che ci fa capire che per tutti i ban che si potranno emettere ci sarà sempre qualcuno pronto a trovare una scorciatoia. I ban servono solo a scoraggiare i meno agguerriti.

 

Valeria Poropat

Sono Valeria e adoro la tecnologia e la parola scritta. Dopo la maturità classica ho studiato lingue presso La Sapienza di Roma e sono specializzata in traduzione e transcreazione. A un anno e mezzo ho incontrato un Commdore 64 e a otto anni ho deciso che avrei fatto la giornalista. Alla fine, ho trovato il modo di mettere tutto insieme e ho scoperto nel mondo dell'informazione tech il mio ambiente naturale. Mi occupo di tutto ciò che è tecnologia, con una predilezione per i videogiochi e le innovazioni che sono in grado di migliorarci la vita.

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