Da Twitter è partito un vero e proprio sciopero e anche se non sappiamo quanti hanno aderito la questione della modalità Ultimate Team e delle possibilità che un cambiamento arrivi va affrontata.
Nel mondo reale fisico quando qualcosa non va proprio come dovrebbe ci sono diversi modi con cui gli utenti, o i lavoratori anche, possono farsi sentire con chi comanda. Molto spesso non cambia nulla ma a volte sono proprio i movimenti dal basso che aiutano a cambiare le cose. A volte sono le alte sfere che si convincono che è il caso di cambiare (non per amore del prossimo sia chiaro) a volte semplicemente gli utenti tirano via il tappeto da sotto i piedi alle società e queste caracollano miseramente.
Ma nel mondo virtuale quale leva hanno i giocatori nei confronti dei developer e dei publisher e in particolare di quelli resi pigri dalla mancanza di concorrenza e avidi dalla stessa mancanza di concorrenza? Lo sciopero può funzionare davvero? Secondo noi c’è spazio perchè cammini.
Dato di fatto, nel mondo delle simulazioni sportive Electronic Arts si è costruita quello che possiamo tranquillamente definire un monopolio. Calcio? C’è. Football? C’è. Formula 1? C’è. Hockey? C’è. Golf? C’è. Racchettoni? Manca poco. Una posizione dominante che ha avuto due conseguenze, tra le altre: i giochi sono tutti uguali da un anno all’altro e il sistema di monetizzazione ha impigrito i team oltre ogni limite lecito. E alla monetizzazione spicciola (no pun intended) su cui si regge tutta la modalità Ultimate Team si aggiunge anche il modo in cui questi videogiochi vengono dati a streamer e pro player che hanno modo, tempo e denaro per potersi creare veri e propri squadroni della morte da scatenare contro chi, da bravo o da brava, deve aspettare il day one anche solo per vedere la schermata di avvio.
I videogiochi hanno smesso da tempo di essere giochi. Non è un male di per sè, del resto anche i film hanno smesso di essere soltanto entertainment. Sono prodotti che devono dare guadagno e lo fanno con un utilizzo raffinato e al tempo stesso malefico della psicologia. Ma forse EA ha tirato un po’ troppo la corda stavolta se addirittura propri i pro player e gli streamer più famosi gli si stanno rivoltando contro e hanno lanciato un hashtag eloquente: #packstrike. Perchè a forza di rivedere gli algoritmi che gestisono le possibilità che dai pacchetti che si acquistano con denaro contante esca qualcosa di buono siamo arrivati alle stesse possibilità che una Fiat Panda tamponi una astronave aliena a largo della cintura di Orione.
Sui social la protesta sembra montare, anche se non con troppa convinzione, e un messaggio è per noi indicativo di quanto la logica che EA non stia facendo nulla di male sia inculcata nella testa di chi gioca ed è dalì che va scardinata. Sotto il messaggio con cui Zirksee annuncia il #packstrike, un utente infatti commenta: “Non mi lamento. Ho speso circa 200 verdoni e ho tirato fuori due card limited… e qualche elite di alto livello. Ho tirato fuori belle carte dai pacchetti platinum settimanali. E’ il mio anno migliore per la fortuna nei pack“. Al che un altro utente fa notare: “Davvero non hai di che lamentarti se ha speso quattro volte il prezzo totale del gioco in sè per delle card che tra un mese saranno obsolete?”
Il problema è proprio qui, il giocatore medio spende senza accorgersene e EA affina il suo sistema rendendo sempre più difficile ottenere qualcosa di veramente valido e che permetta di giocare alla pari con chi si può permettere di buttare migliaia di dollari per una manciata di pixel. Ma quando anche chi può permetterselo arriva al limite è ora di fermarsi un attimo e pensare che, forse forse, il sistema delle microtransazioni e delle lootbox non può durare in eterno e che la stupidità del genere umano ha un limite. E, nel tutto, tornare anche a far lavorare i developer sul gioco e non sugli specchietti per le allodole.
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