Six Days In Fallujah, il gioco non è un “commento politico”

Dopo averlo resuscitato, Highwire Games ora parla a ruota libera del redivivo Six Days In Fallujah, lo shooter abortito nel 2009 da Atomic Games. Ma nelle intenzioni dello sviluppatore il gioco non si pome come critica o presa di posizione politica.

In una recente intervista Peter Tamte, boss del publisher di SDIF Victura, ha chiarito la faccenda cercando di distanziare il gioco dai fatti che esso stesso rappresenta.

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Six Days In Fallujah: generare empatia ma lontano dalla politica

Six Days In Fallujah, il gioco non è un "commento politico"
Six Days In Fallujah, il gioco non è un “commento politico” (foto: Youtube)

Quando decidi di fare un gioco che non è solo vagamente ispirato a un conflitto ma che ne parla in modo circostanziato, tanto che all’inizio il progetto è stato bloccato perchè alle famiglie delle vittime di quel conflitto non piaceva l’idea che si giocasse con i cadaveri dei loro cari, hai in mente una dichiarazione altrettanto precisa su quello che pensi di quel conflitto.

E invece no, si può fare un gioco che parla di uno dei momenti più bui della storia americana contemporanea senza criticare le scelte politiche che a quel momento buio hanno portato. Questo è il salto mortale triplo che Peter Tamte ha intenzione di fare con il redivivo Six Days In Fallujah. Intervistato, il CEO di Victura che è publisher del gioco, ha dichiarato che l’intendo è quello di “aiutare i giocatori a comprendere la complessità del combattimento urbano“.

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E poi ancora parlando proprio dell’angolazione scelta. “Vogliamo mostrate come le decisioni prese dai politici influenzano le scelte che (un Marine) deve fare sul campo di battaglia.” Allora è un commento politico? No. “Come il Marine non mette in discussione le scelte del politico, noi non stiamo cercando di fare un commento politico sul fatto se la guerra fosse o meno una buona idea.”

Quando si entra nei dettagli della guerra di Fallujah, quello che tutti ricordano sono le voci di fosforo bianco usato in zone con civili, di armi all’uranio impoverito insieme a una generale sensazione di malessere e a una domanda di fondo: si doveva fare? Ma anche su questo punto Tamte è degno del Cirque du Soleil: “Non voglio cose di tipo sensazionalistico che distraggano dall’esperienza“. Stando poi a ciò che i Marine hanno effettivamente raccontato agli sviluppatori di quei giorni a Fallujah nel 2004 non ci furono armi scorrette impiegate in campo.

Su una cosa si può essere d’accordo con Tamte. “Ignorare la battaglia non farà in modo che (i giocatori) pensino alle conseguenze della guerra.” Ed è questo lo scopo ultimo che il gioco si prefigge, secondo il team di sviluppo. Che però, alla fine, è anche un commento politico se non alla vicenda di cocente attualità alle guerre nel loro complesso.

Per capire come il gioco sarà accolto all’uscita c’è da aspettare ancora. Intanto possiamo riguardarci uno dei trailer di lancio. Lo trovate a fondo pagina.

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