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That Dragon, cancer – la recensione

Lo dico da molti anni e, qui in Italia, sono stato il primo a farlo: possiamo accettare di usare sempre e comunque il termine “videogioco”, per riferirci al medium che ci appassiona, soltanto a patto di comprendere che tale parola ha ormai travalicato i suoi limiti semantici originali, venendo a significare semplicemente un’opera interattiva, che, come tale, non deve necessariamente contenere contenuti ludici. Come dire: il videogioco, spesso, non è un gioco. Se così non fosse, qui ci troveremmo davanti al gioco del bambino che muore di cancro. Non suona così bene, eh? Appunto.

That Dragon, Cancer è l’opera voluta da Ryan e Amy Green, genitori del piccolo Joel, un bimbo di quattro anni morto nel 2014 a causa di un grave tumore al cervello diagnosticatogli quando ne aveva soltanto uno. Un’esperienza interattiva molto lineare e limitata dove il concetto tradizionale di gameplay si fa piccolo piccolo e, ridotto all’osso, serve soltanto come espediente narrativo e comunicativo per raccontare la tragica odissea di una famiglia devastata dalla peggiore tragedia che può accadere: la perdita di un figlio.

That Dragon, Cancer è un’esperienza interattiva molto lineare e limitata che racconta la tragica odissea di una famiglia devastata dalla morte del figlio.

That Dragon, Cancer, in parte sviluppato grazie a una campagna Kickstarter, viene venduto a un prezzo piuttosto alto per il tipo di opera (si tratta di due ore circa di durata), ma l’incasso è devoluto in beneficienza, quindi ogni eventuale perplessità in tal senso va subito rimossa. Il problema, semmai, è un altro: pensate bene se, a prescindere dal prezzo da pagare, siete pronti o meno a intraprendere un viaggio che vi turberà non poco, e che vi costringerà a riflettere su tematiche che, di norma, si preferisce non prendere troppo di petto, avendo la fortuna di non essere costretti a farlo dalla vita stessa.

L’opera, divisa in brevi capitoli da 10-15 minuti ciascuno, racconta il disperato tentativo di curare Joel da parte della famiglia, fino alla brutta notizia dell’inefficacia del ciclo di chemioterapia e alla prematura scomparsa del piccolo angelo Joel, di neanche cinque anni. Non c’è un punto di vista unico: a tratti osserviamo dall’esterno, a volte assumiamo il ruolo del piccolo, della mamma o del povero padre. Dove una certa confusione narrativa potrebbe attenuare l’impatto dell’opera, il suo essere così spietatamente autobiografica recupera la profondità emotiva, che esplode sui titoli di coda, quando scorrono le vere fotografie di Joel e della sua famiglia. Un bambino biondo, meraviglioso, dal visino dolce e innocente, eppure malato, con i segni del male che lo stava portando via, e della macchina ospedaliera che invano ha tentato l’impossibile miracolo. Qui non si tratta più del valore artistico di That Dragon, Cancer, ma del dolore illimitato, assoluto e travolgente di veri esseri umani devastati dal più grande degli orrori. È il momento in cui si china il capo e si lasciano scorrere le lacrime, seguite poi da un sommesso ma persistente dolore, un senso di paura di fronte all’ineluttabilità del destino, alla fragilità della nostra esistenza e di quella delle persone a noi più care. Tutto questo, è evidente, sfugge a ogni possibilità di essere recensito… ha il valore assoluto della testimonianza, che ci arriva diretta e micidiale, come un montante che, di colpo, ci mette al tappeto. Il resto, prima di quei credits, possiamo analizzarlo, sebbene con fatica, riserbo e compostezza. Ed è ciò che tenteremo di fare.

La natura spietatamente autobiografica del gioco esplode nei titoli di coda, quando scorrono le vere fotografie di Joel e della sua famiglia.

That Dragon, Cancer è un’opera manifesto, figlia di persone con una forte fede ma non per questo bigotte. Il padre è in un certo senso il più debole, atterrito dalla perdita che vede avvicinarsi inesorabilmente, ma anche distrutto da una non-vita che sta uccidendo anche lui. La mamma, invece, si rifugia nella fiducia incrollabile in un salvifico intervento divino, anche ben oltre le legittime speranze, quando la scienza medica ha ormai emesso il suo verdetto terminale per Joel. Il duplice punto di vista si intreccia, rendendo evidente come non ci siano un approccio giusto e uno sbagliato. La famiglia è unita e si aiuta, reciprocamente, nella disperata arte di sopravvivere… anche al proprio innocente bambino, condannato da un Drago mostruoso e orribile, un mostro che nessun eroe da videogioco potrà mai uccidere né sconfiggere. E poi c’è la prospettiva di Joel, che è un bambino, che non sa, che non può davvero essere consapevole… che soffre da matti ma che sogna, che vede la realtà attraverso la sua fantasia. Finché può, certo. Finché possiamo crederlo o sperarlo… ma forse, chissà, anche oltre.

Lo stile grafico è suggestivo, con alcuni tocchi di grande potenza, come i volti privi di occhi e altri lineamenti, e oscilla tra il realismo descrittivo di alcune stanze e il lirismo della dimensione onirica, sempre vistosamente connessa con la realtà, come a rimarcare che, in ogni momento, sogno e verità, immaginazione e concretezza, sono sempre adiacenti, o magari persino sovrapposte, terreni che la nostra mente può esplorare liberamente, magari mentre fugge o mentre annega, mentre si dibatte o mentre cerca solo, almeno per un attimo, un pacifico oblio.

That Dragon, Cancer è un’opera manifesto, figlia di persone con una forte fede ma non per questo bigotte.

L’elemento interattivo dell’opera, purtroppo, rappresenta il punto debole di That Dragon, Cancer, non tanto per i bug, da molti lamentati ma che io non ho riscontrato nel corso della mia prova, ma per la maniera caotica con cui è stato sviluppato. Per essere un’esperienza totalmente lineare e guidata, risulta spesso poco chiara e diretta, con la conseguenza di allontanarci a tratti dal coinvolgimento viscerale con le vicende narrate. Potrà essere un modo di alleggerire il peso dell’esperienza, certo, ma rimane pur sempre un difetto. Anche i due mini-giochi che affronterete, sensati dal punto di vista narrativo e metaforico, sono implementati piuttosto grossolanamente a livello di ludico: sia chiaro, da un lato è irrilevante (non è che una sezione da due minuti di kart debba offrire un reale divertimento come un videogame specifico dedicato a questa disciplina), ma dall’altro rende meno diretto e forte il messaggio, causa la non immediatezza e fruibilità dell’esperienza interattiva. Quanto alla narrazione, i testi sono senza alcun dubbio ben scritti: è la madre ad averli buttati giù, il che dice tutto circa il loro essere ispirati e di grandissimo impatto. E se alcune scene sono soltanto buone, altre sono così intense da far male, soprattutto quella del padre che è in stanza con Joel, ormai malato terminale senza alcuna speranza, e non riesce a far nulla per farlo smettere di piangere, di star male, di soffrire. Quel pianto straziante che vorreste far smettere ma che non smette mai vi accompagnerà ben oltre la sequenza… e ben oltre i titoli di coda.

In definitiva, That Dragon, Cancer è un’opera interattiva indie forte e unica nel suo genere, che, nonostante non sia affatto perfetta, dimostra come il nostro medium possa e debba trattare qualsiasi tematica, raccontare qualsiasi storia, senza fermarsi di fronte ad argomenti considerati tabù. Sta a voi scegliere se ve la sentite o no di vivere questa esperienza, di guardare dritti dentro l’abisso. Perché una cosa è certa: se lo farete e non metterete filtri tra la voi e la famiglia Green, il piccolo Joel, quel dolce angelo, sarà anche un po’ vostro figlio… e della sua perdita, soffrirete anche voi.

L’elemento interattivo dell’opera, purtroppo, rappresenta il punto debole di That Dragon, Cancer per la maniera caotica con cui è stato sviluppato.

Concludo infine con una nota personale: ho affrontato questa recensione su richiesta del direttore Roberto Buffa, mio caro amico, ma non è stata una scelta facile. Ho perso mia figlia Mila il 12 febbraio del 2007, quando aveva poco più di 3 anni e 10 mesi. Le due ore di That Dragon, Cancer, per me, sono state una via crucis indescrivibile, che ho volutamente raccontato in maniera sobria e in parte spersonalizzata, da professionista, per mantenere questo articolo nei confini di una recensione, per quanto in parte atipica. Se così non avessi fatto, temo che questo sarebbe diventato il diario di un padre la cui vita è stata spezzata per sempre e infranta in mille pezzi, e che ogni singolo istante della sua vita grida dentro si sé, in mezzo al più assordante silenzio, il nome del suo piccolo angelo perduto, quella luce bianca come la neve che, un giorno, si è improvvisamente spenta per sempre. Questo pezzo, se mi è consentito, voglio dedicarlo a lei, ovunque si trovi ora.

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