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The Evil Within – la recensione

“Il vero terrore è dentro la vostra testa”. Sono queste le parole che sento riecheggiare mentre mi accingo a provare The Evil Within. Il genere horror è indubbiamente in cerca di se stesso: dopo la deriva action di Resident Evil, non è più esistito qualcosa in grado di comunicare l’orrore, quello vero, la sensazione di trovarsi inermi di fronte a una minaccia incredibilmente più grande di noi. E, personalmente, considero giochi come Outlast alla stregua di semplici screamer. Questo perché per instillare realmente paura serve prima di tutto un impianto di design degno di questo nome, che dia forme alle nostre fobie senza però permetterci davvero di poterle identificare. Serve, insomma, la mano di un maestro, qualcuno come Shinji Mikami.

Per instillare realmente paura serve prima di tutto un impianto di design che dia forme alle nostre fobie senza però permetterci davvero di poterle identificare. Serve, insomma, la mano di un maestro, qualcuno come Shinji Mikami.

The Evil Within inquieta profondamente fin dalle prime battute, mettendoci nei panni di un personaggio qualunque, tutt’altro che un macho, ma un fragile umano il cui equilibrio psichico è messo a dura prova da forze che non può controllare. In più di un momento ho avuto qualche eco del capolavoro per Nintendo GameCube Eternal Darkness, che come il nuovo gioco di Mikami-san, ci chiedeva di interpretare dei poveri malcapitati in circostanze piuttosto sfortunate. Si avverte una magistrale forma di identificazione con il fragile protagonista Sebastian Castellanos, che cerca in tutti i modi di sfuggire a dei mostri che hanno la stessa tenacia e crudeltà degli inarrestabili ganados di Resident Evil 4, di cui The Evil Within, badate bene, non rappresenta un erede spirituale. Al contrario, Mikami-san ha ripreso l’architettura del quarto capitolo, e l’ha innestata con quel costante senso di precarietà che avvolgeva i primi due capitoli di Resident Evil. Non importa quello che farete, sarete sempre e comunque in difetto rispetto alle forze del male, e tutto quello che potrete fare è tutt’al più è sopravvivere. Tutto l’equilibrio del gioco è costruito intorno a questo concetto: i vostri nemici sono spietati e intelligenti, non vi daranno mai tregua, e avranno una spiccata tendenza ad assaltarvi in gruppo, facendo leva sulla superiorità numerica. Come se non bastasse, sono anche dannatamente coriacei e richiederanno molti colpi prima di essere definitivamente abbattuti.

Tutto l’equilibrio del gioco è costruito intorno a questo concetto: i vostri nemici sono spietati e intelligenti, non vi daranno mai tregua, e avranno una spiccata tendenza ad assaltarvi in gruppo.

Nella totalità dei casi, affrontare un nemico a mani nude significa morte certa. Per rispondere al loro inesorabile assalto, quindi, sarà fondamentale padroneggiare il sistema di crafting, facendo però molta attenzione. Un po’ come in The Last of Us, lo scopo definitivo non è creare un arsenale da fare invidia a Rambo, ma piuttosto dovrete usare gli oggetti recuperati per creare di volta in volta degli attrezzi di fortuna con cui provare a difendervi; la scarsità di risorse la fa da padrona in The Evil Within e la chiave per sopravvivere sta nel gestire oculatamente il vostro inventario. È richiesta, inoltre, una grande consapevolezza dell’ambiente di gioco, dal momento che i claustrofobici corridoi possono essere usati a vostro vantaggio, così come l’ambientazione circostante. Non che possiate mai stare rilassati, in verità, visto che le situazioni apparentemente più tranquille tendono a celare trappole mortali.

Non potete mai stare rilassati, in verità, visto che le situazioni apparentemente più tranquille tendono a celare trappole mortali.

Se è vero che The Evil Within non è Mikami che cerca di rifare RE4, è anche vero che le sue pennellate saltano all’occhio in maniera piuttosto evidente: principalmente nel sistema di combattimento, che ha la stessa fisicità di quello mai troppo lodato di Resident Evil 4, senza tuttavia la forza bruta di Leon Kennedy. Al contrario, in The Evil Within superare ogni singolo scontro sarà di per sé una vittoria e non sarà difficile sentirsi esausti al termine di una colluttazione. Anche nelle ambientazioni stesse è difficile non incontrare una certa vena di citazionismo, sotto forma di un villaggio, di una magione o di un tipo armato di motosega… Se c’è qualcosa che possiamo imputare al gioco è che non intraprende mai veramente una direzione coraggiosa, ma piuttosto rielabora temi assai cari all’autore, sia dal punto di vista narrativo che di gameplay. Ci sono anche delle citazioni ad altre serie, soprattutto quando il confine tra ciò che è reale e ciò che non lo è comincia a essere sfumato, e il gioco assume i connotati di un Silent Hill qualunque. Persino le inquadrature rimandano ai tempi del primo Resident Evil, con scelte di telecamera appositamente volute per veicolare gli spaventi (il classico mostro che non potete vedere in alcun modo, insomma). Siamo evidentemente di fronte a una sorta di bignami del survival horror, qualcosa che condanneremmo se non fosse che è stato confezionato con cura e amore da quella stessa persona che ha inventato tale tipologia di gioco. The Evil Within è prevedibile, ma Mikami è abbastanza competente per rendere emozionanti sequenze che abbiamo già vissuto decine di volte. Gradevole il twist sugli universi paralleli, anche se la trama finisce per essere più funzionale che memorabile, e Mikami-san non è riuscito a creare protagonisti carismatici come i membri della STARS, né tanto meno antagonisti paragonabili a quelli della Umbrella.
In realtà, è proprio questo “giocare facile” che impedisce a The Evil Within ad aspirare a qualcosa di più che rievocare i bei tempi, finendo per essere un sublime omaggio a un modo di fare giochi tanto desueto tanto attuale, incapace però di raggiungere la freschezza di titoli come Resident Evil 2. Quelle opere saranno ricordate come capolavori, mentre The Evil Within deve accontentarsi dello status di operazione nostalgia, per quanto brillante possa essere. Il che è un vero peccato, perché Mikami è un autore conosciuto per sfidare le convenzioni e andare oltre il genere imposto (non dimentichiamo che dobbiamo a lui la svolta di Resident Evil 4) e che avrebbe potuto stupire anche in questo caso. Ma forse, non è quello che gli è stato chiesto.

In realtà, è proprio questo “giocare facile” che impedisce a The Evil Within ad aspirare a qualcosa di più che rievocare i bei tempi, finendo per essere un sublime omaggio a un modo di fare giochi tanto desueto tanto attuale.

In definitiva, The Evil Within è una fulgida prova di stile: Mikami-san è riuscito ancora una volta a evocare magistrali atmosfere, e nei suoi momenti migliori il gioco è genuinamente in grado di farci correre i brividi lungo la schiena. È chiaro che siamo di fronte all’opera di un autore che sa quali corde toccare per non farci dormire la notte, che conosce tutti i meccanismi di design necessari per trasmettere orrore. Il retrogusto è un po’ amaro, tuttavia, pensando a quello che avrebbe potuto fare un genio del calibro di Mikami. Non lasciatevi distrarre da ciò: c’è tanto di quel carattere e qualità vecchia scuola in The Evil Within che ci metteremmo la firma se tutti i giochi moderni fossero così.

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