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The Legend of Zelda: A Link Between Worlds

C’era una volta un grande capolavoro chiamato A the Link to the Past. Quel gioco, uscito su Super Nintendo, sarebbe stato uno dei più fulgidi astri nel firmamento Nintendo, una pietra di paragone per tutto quello che sarebbe venuto dopo. Molti anni più tardi, e dopo parecchi episodi della serie, i tempi sono cambiati in casa Nintendo, e ora la compagnia sembra preferisca puntare sulle vecchie glorie piuttosto che inventare nuovi modi di giocare. Ma una certezza di qualità è preferibile a un salto nel buio? Scopriamolo insieme.

I dungeon di A Link Between Worlds sono altrettanto ben congegnati, ma sono anche più semplici nella loro struttura.

The Legend of Zelda: A Link Between Worlds si presenta come il successore spirituale di A Link to the Past. Il gioco sfrutta lo stesso impianto di base, condividendo anche la stessa ambientazione e un feeling decisamente familiare, anche nell’aspetto grafico. La visuale è dall’alto, anche se Nintendo ha scelto di rimpiazzare i pixel con un plasticoso 3D. Grazie a questo particolare stile assisterete a uno dei pochi esempi dove la stereoscopia funziona davvero: certi dungeon costruiti su più livelli vi daranno infatti una sorprendente sensazione di profondità. Al posto del Dark World, troveremo invece Lorule, una versione alternativa e decadente di Hyrule. Il protagonista, come sempre ovviamente Link, potrà muoversi attraverso questi due piani paralleli tramutandosi in un dipinto, e attraversando delle fessure poste sui muri.

Il gioco punta fin dall’inizio a rompere la tradizionale ciclicità di Zelda. Ci vorranno pochi secondi per entrare nel primo dungeon, e risolverlo sarà una questione di minuti. Sicuramente, una scelta coraggiosa per il fan che ha già avuto modo di affrontare mille volte questo incipit. A Link Between Worlds spezza ulteriormente la tradizione, introducendo il sistema di noleggio degli oggetti. Già, perché la casa di Link sarà occupata abusivamente da uno strano tizio vestito da coniglio, Ravio, che presterà i suoi oggetti all’eroe in cambio di sonanti Rupie. I patti però sono chiari: ogni volta che morirete dovrete restituire tutto l’equipaggiamento noleggiato; in alternativa, potete sempre comprare gli oggetti, spendendo però una cifra assai maggiore. Questa meccanica, che sembra rubata da Freshly-Picked Tingle’s Rosy Rupeeland, spin-off “capitalista” dedicato all’uomo-folletto Tingle (ve lo ricordate?), riesce nel tentativo di rompere il tradizionale ritmo di Zelda.

Per entrare in un dungeon vi basterà scegliere l’oggetto giusto e attivare il solito meccanismo di turno, senza dovervi prima scervellare tra quest di vario genere. Questo vuol dire anche che potrete affrontare i dungeon secondo l’ordine che preferite. D’altro canto, il nuovo sistema di acquisizione degli oggetti priva il giocatore del fascino di interagire con gli altri personaggi. Dimenticatevi le quest interminabili di Ocarina of Time, dove si passava da un buffo figuro all’altro.

Si tratta, probabilmente, di uno degli Zelda con meno testo di sempre, il che rende Hyrule e Lorule un luogo poco interessante da esplorare rispetto alle precedenti ambientazioni della serie. Dov’è andato a finire il gusto per la narrazione dei classici Zelda? Il tutto si riduce a un semplice grinding per ottenere più Rupie e usare gli oggetti, molti dei quali sono in realtà legati ad una singola situazione e difficilmente vi troverete ad usarli più di una volta. Alcuni oggetti sono davvero costosissimi, come la bacchetta del gelo, ma non si capisce che senso abbia acquistarla dal momento che occorrerà in un solo frangente.

I dungeon sono, chiaramente, il cuore dell’avventura e riprendono per atmosfera quelli già visti in A Link to the Past. La principale differenza sta nella complessità. I dungeon del classico Super Nintendo erano una sinfonia di trabocchetti e meccanismi segreti, che una volta compresa a fondo restituiva un profondo senso d’appagamento. I dungeon di A Link Between Worlds sono altrettanto ben congegnati, ma sono anche più semplici nella loro struttura. Spesso, basterà semplicemente trasformarvi in un dipinto per risolvere gran parte delle situazioni, e in molti dungeon la sfida si ridurrà perlopiù a trovare la strada giusta. Una scelta che va senza dubbio incontro ai neofiti della serie, ma che rende l’avventura meno interessante per chiunque abbia finito almeno una volta nella vita A Link to the Past. Fuori dai dungeon, il mondo fornisce un ampio respiro e una buona quantità di imprese secondarie, come la ricerca delle MaiMai, dei molluschi che dovrete riportare dalla loro mamma, la quale vi ricompenserà potenziando i vostri oggetti. Essendo tutti gli scontri piuttosto facili, anche in questo caso si perde un po’ il senso di quello che state facendo.

A Link Between Worlds è un ottimo remake camuffato da nuovo gioco. Le meccaniche sono divertenti, e le citazioni soddisferanno il fan più irriducibile. Difficile non emozionarsi nel momento in cui Link estrae la Spada Suprema nella Foresta Sacra. Ma, allo stesso tempo, il gioco non supera la sua ispirazione. I dungeon sono ottime prove di game design, ma il gioco soffre la prova del tempo e, alla lunga, si sente la mancanza di comprimari e storie interessanti, che invece abbondano in episodi recenti come The Wind Waker. Consigliatissimo per chi non ha mai affrontato A Link to the Past, mentre gli altri farebbero meglio a chiedersi se sono disposti ad inoltrarsi in un gioco rifinito come un gioiello, ma la cui bellezza sembra essere un po’ troppo fine a se stessa.

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