“Quando sei pazzo non esisti più”. Con la loro avventura grafica, gli italiani di LKA.it ci conducono in un luogo realmente esistente, totalmente in rovina, che un tempo svolse la funzione di manicomio in quel di Volterra.
Chiuso definitivamente nel 1978, in seguito alla legge n. 180, quel che rimane oggi dell’ospedale psichiatrico non è nient’altro che uno scheletro di cemento immerso nel verde, riflesso ormai sbiadito di un luogo che per moltissimi anni è stato teatro di indicibili e terrificanti avvenimenti.
The Town of Light ci farà capire molto presto che ben poco ha del videogioco.
Noi siamo Renée, protagonista di questa (dis)avventura, che cercherà di ritrovare quegli angoli perduti della sua memoria esplorando quella che è stata la sua casa per molto tempo negli anni della sua adolescenza. I guai però cominciarono per lei molto prima dei 16 anni quando venne internata nel manicomio e affidata alle cure dei medici poiché affetta da disturbi della psiche provocati da avvenimenti che per sempre cambiarono la sua giovane vita fino a distruggerla dall’interno, strappandole ogni briciolo di sanità mentale un pezzo alla volta.L’intento di LKA è quello di mostrarci come funzionassero diversamente le cose in passato, negli anni della seconda guerra. Grazie ai flashback della protagonista, caratterizzati da angoscianti scale di grigi e dettagli a dir poco inquietanti, potremo infatti apprendere quale fosse la vera condizione di esistenza dei pazienti in quella triste epoca, neanche troppo lontana dal nostro presente. Soprusi, violenze, abusi sessuali, limitazione della libertà, negazione dei propri diritti e torture. The Town of Light ci farà capire molto presto che ben poco ha del videogioco. Potremmo meglio definirlo come una vera e propria esperienza virtuale, dove il senso di inquietudine creato dalla cornice di sussurri, urla, tristi musiche e angosciose scoperte, sarà ben presto sostituito da una sempre più potente presa di coscienza di quello che realmente è il messaggio che la softco vuole farci arrivare.
Il fatiscente istituto psichiatrico, ricreato nei minimi dettagli dagli sviluppatori, diverrà poco a poco la nostra casa, proprio come in passato lo era stato per la protagonista.
Senza alcuna paura, LKA ci presenta con questo suo titolo temi molto maturi, sicuramente non adatti a un pubblico troppo giovane. La scarsità di oggetti con i quali interagire all’interno dell’ambientazione è infatti un palese segnale che l’interesse principale degli sviluppatori non è quello di divertire l’utente, ma di farlo riflettere. Già dopo i primi passi, la forte componente narrativa ci permetterà di entrare nell’animo di Renée. Cominceremo a cercare di volerla comprendere, di aiutarla nella sua ricerca di indizi sul suo terribile passato, costellato di ricordi decisamente brutali. Le scelte davanti alle quali ci ritroveremo ci permetteranno di decidere come aiutare la protagonista, mettendoci nei panni di una sorta di tutore, quasi come se fossimo la sua coscienza. Potremo spronarla, proteggerla o anche cercare di farle comprendere la vera, terrificante, realtà dei fatti.Il fatiscente istituto psichiatrico, ricreato nei minimi dettagli dagli sviluppatori, diverrà poco a poco la nostra casa, proprio come in passato lo era stato per la protagonista. Ne esploreremo ogni angolo, alla ricerca di dettagli rilevanti, cartelle cliniche, lettere mai spedite o ricevute, in grado di ricostruire il puzzle psichico che compone l’Ego di Renée. Ben presto però i tasselli della realtà cominceranno a mostrarci un mosaico raffigurante una chimera oscura, macabra, addirittura oscena che a stento potremo riconoscere come la realtà. La simbologia, elemento onnipresente nel titolo, permetterà ai più attenti di comprendere quale sia la vera condizione della protagonista. Disegni sui muri raffiguranti immagini distorte e stilizzate, bambole di porcellana quasi umane, corridoi infiniti senza vie di uscita… sono tutti elementi che riescono a mostrarci l’attento studio psicologico e pedagogico effettuato da LKA nella creazione degli ambienti e dei ricordi che vivremo in prima persona.
Se deciderete di acquistare The Town of Light, e riuscirete a completarlo nella sua interezza, potreste uscire da questa esperienza cambiati; più consci del fatto che tante, troppe cose, a volte accadono senza che nessuno se ne accorga.
“Quanto vorrei sentire la vita, la disperazione, la rabbia”. La voce di Renée, a tratti spezzata e giustificatamente triste, contribuisce a rendere la nostra esperienza in The Town of Light decisamente immersiva, facendoci dimenticare quei lati non perfettamente riusciti del titolo. Il doppiaggio appagante, l’estremamente realistica ri-creazione degli ambienti, e la “maniacale” riproduzione delle condizioni dei pazienti del manicomio, riescono a nascondere quasi totalmente la semplicità disarmante delle meccaniche di gioco e la sua, a dir poco scarsa, lunghezza, forse uniche due spine nel fianco di un quella che potremmo definire quasi un’opera d’arte ludico-narrativa. Se state cercando azione, tematiche horror e totale libertà di movimento, lasciate subito perdere e passate oltre. Questo non è un gioco, è un macabro documentario di come la vita di una persona possa facilmente spezzarsi, di come la sua paura possa diventare talmente potente da portarla alla follia e di come le sue richieste di aiuto possano non essere ascoltate da chi invece dichiara di aver votato la sua vita al miglioramento delle condizioni altrui.Se deciderete di acquistare The Town of Light, e riuscirete a completarlo nella sua interezza, potreste uscire da questa esperienza cambiati; più consci del fatto che tante, troppe cose, a volte accadono senza che nessuno se ne accorga; consapevoli, forse, che le nostre azioni e le nostre parole possono essere armi affilatissime, in grado di ferire e danneggiare chiunque, anche in maniera irreparabile. Tristemente, il mio ruolo di recensore non può però permettersi di valutare un titolo in maniera soggettiva e deve anzi affrontare ogni dettaglio, non escludendo i sui difetti sopraccitati. Se potessi esprimere un giudizio senza tenere conto di questi fatti però, non potrei far altro che applaudire, alzandomi in piedi come se mi trovassi al termine di un film drammatico, sentimentale e carico di significati importanti, commosso e arricchito di nuove riflessioni che prima di aver provato The Town of Light difficilmente, purtroppo, mi ero già trovato ad affrontare.