Quando sei seduto davanti allo schermo e ti trovi travolto dalle emozioni, sai che sei al cospetto di qualcosa di importante, di davvero significativo. Soprattutto se si tratta solo di un episodio della durata di due ore scarse, un episodio così dannatamente forte e d’impatto da riuscire a spaventare, emozionare, commuovere e stupire. Di che cosa parlo? Di All That Remains, magistrale opening act della seconda stagione di quel capolavoro assoluto firmato Telltale che risponde al nome di The Walking Dead. Per chi non lo sapesse, il gioco nasce nel 2012, con una prima stagione da 5 episodi uscita tra aprile e novembre; si tratta di un’avventura basata sul popolare fumetto di Robert Kirkman che vede il mondo devastato dall’apocalisse zombi e segue le gesta di alcuni personaggi impegnati in una strenua lotta per la sopravvivenza.
Il gioco è ambientato poco meno di un anno e mezzo dopo gli eventi del primo.
Come ben saprete, dal fumetto è poi stata tratta una famosissima serie TV, giunta già alla terza serie, ma il videogioco di Telltale (software house americana specializzata in avventure narrative: dal remake di Monkey Island a Jurassic Park e Ritorno al Futuro) non ha nulla a che fare con essa, proponendo storie e personaggi totalmente originali nell’universo dei fumetti.
La prima stagione di The Walking Dead (gioco) coincise anche con la grande svolta di Telltale: passare da avventure grafiche tendenzialmente classiche, seppur non prive di elementi dinamici e innovativi, a vere e proprie neoavventure, opere slegate dal concetto tradizionale di esplorazione e risoluzione di enigmi ma piuttosto basate su scelte morali e sviluppo interattivo di storia e personaggi. The Walking Dead, insomma, smise di parlare al nostro cervello per rivolgersi direttamente al cuore. Un azzardo, certo. Persino Kirkman era scettico, durante lo sviluppo. Quando poi Jake Rodkin, uno dei capi del progetto, gli mostrò il primo episodio finito, esclamò: “Holy shit, ragazzi: ce l’avete fatta”. Il resto è storia. Un successo travolgente, di pubblico e critica. Oltre 90 premi di “Gioco dell’Anno” ricevuti, stracciando letteralmente produzioni da decine e decine di milioni di dollari di valore di produzione. La narrazione interattiva aveva trovato un nuovo Re.
Con questo fardello sulle spalle, la Season 2 aveva una grande responsabilità: essere all’altezza delle aspettative. E non vi nascondo un certo timore, almeno per due ragioni. La morte del protagonista della prima stagione, il carismatico Lee, e la parziale delusione del pur valido episodio ponte The Walking Dead: 400 Days (luglio 2013), un mix di storie talmente brevi da risultare un po’ deludente. Fortunatamente, le paure sono alle spalle, sostituite prepotentemente da una voglia disumana di mettere le mani sui prossimi 4 episodi. Eh già, ragazzi, avete capito bene: The Walking Dead Season 2 è un fottuto capolavoro, forse in prospettiva già più grande del suo leggendario predecessore. E ora vi racconto perché, rigorosamente senza spoiler.
Le paure sono alle spalle, sostituite prepotentemente da una voglia disumana di mettere le mani sui prossimi 4 episodi.
Il gioco è ambientato poco meno di un anno e mezzo dopo gli eventi del primo. Dopo la morte di Lee, con il quale avevamo protetto la piccola Clementine, arrivando ad amarla come una figlia, è ora il momento di vestire proprio i panni della coraggiosa e sfortunata bambina, il che comporta un radicale cambio di prospettiva. Laddove un tempo eravamo un uomo forte nella posizione di aiutare e proteggere un soggetto debole e dipendente da noi, adesso siamo noi a dover fare i conti con i nostri limiti e la nostra fragilità. La statura non ci permette di arrivare a molti oggetti, e la scarsa forza fisica ci pone in balia di molti pericoli: abbiamo indubbiamente bisogno di aiuto, ma dobbiamo capire di chi possiamo fidarci, perché il mondo di The Walking Dead è spietato e cinico, popolato da persone che molto spesso sono ben più pericolose degli stessi zombi. Il primo episodio della nuova stagione, da questo punto di vista, è semplicemente spettacolare. Forte di una scrittura veramente stellare, ci trascina in un vortice di emozioni forti e viscerali, tra veri e propri pugni nello stomaco e momenti nei quali compiere scelte rapide sarà davvero difficile e lacerante. I nuovi personaggi sono ben caratterizzati e molto autentici, tutti dannatamente intriganti per uno o più motivi, e Clementine si conferma un gigante dei videogiochi. Mai una bambina è stata dipinta in modo così realistico e profondo. Dimenticate Ellie di The Last of Us: a confronto con la Clementine di The Walking Dead è solo un pupazzo, un freddo e inutile ammasso di poligoni.
Il gioco, del resto, ha una struttura tutta costruita al solo scopo di enfatizzare l’aspetto narrativo e morale della vicenda.
I nuovi personaggi sono ben caratterizzati e molto autentici.
Dimenticate il classico gameplay da avventura punta e clicca: qui siamo su altri lidi. Seguiamo la storia senza reali sfide, perché la sfida è abbracciare le emozioni che Telltale pompa a litri nel nostro corpo e scegliere che cosa fare, come comportarci, chi aiutare e chi no, di chi fidarci. Persino le sequenze d’azione, nella forma di classici quick time event, sono pensate non per sfidare davvero i nostri riflessi ma per comunicarci, anche fisicamente, l’urgenza delle situazioni che viviamo. Il che funziona alla grande. A differenza di quelli irritanti e frustranti di David Cage, i QTE di The Walking Dead sono puri agenti ansiogeni. Non è un caso che non determinino mai uno snodo narrativo. Mentre in Heavy Rain la storia prende una strada oppure un’altra a seconda che voi riusciate o meno a portare a termine con successo un (difficile) QTE, in The Walking Dead i (facili) QTE si usano in sezioni tese ma lineari del gameplay, perché i bivi narrativi dipendono sempre e comunque da nostre scelte come giocatori.
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