Il connubio tra gioco di ruolo e next-gen è quello che potrebbe senz’altro fare la differenza per gli amanti di un genere videoludico quale il GdR, che negli ultimi anni indugia sempre di più sulla libertà concessa al giocatore di esplorare e plasmare la realtà alternativa in cui è immerso.
The Witcher 3: The Wild Hunt, terzo capitolo della saga dark fantasy che ha portato alla ribalta la software house polacca CD Projekt RED, sembra suffragare ed enfatizzare l’orientamento che il GdR ha intrapreso già dal quel lontano 1994, anno di nascita del capolavoro firmato Bethesda, The Elder Scrolls: Arena.
Lo ha confermato John Mamais, excutive producer del terzo capitolo della saga, durante lo scorso E3: “Considerando che stiamo parlando di un gioco next gen, è probabile che il mondo che vi ritroverete a esplorare sia molto più grande di quello visto in Skyrim”.
E The Witcher 3 non vuole certo lasciare a bocca asciutta i videogiocatori affamanti di spazio, regalando loro un mondo 35 volte più grande di quello del secondo capitolo, senza per questo sciorinare un free roming fine a se stesso, ma cercando al contrario di legittimare ogni destinazione all’interno della cornice narrativa. “Abbiamo creato tutta una serie di sfide, in modo da non far mai perdere l’intensità di questo mondo. Esistono diverse aree, ognuna con specifiche attività. Si è liberi di andare dove si vuole, ma abbiamo cercato di costruire la storia in modo tale da proporre side quest ed eventi sempre nuovi”.
E le parole del team di sviluppo sottolineano quale sia l’ingrediente fondamentale che si sposa con il momento esplorativo: la storia. Il cupo Geralt di Rivia sarebbe incapace di reggere la scena per un numero di ore di gioco che si preannuncia decisamente elevato senza un ’impalcatura narrativa ben congegnata. Il rischio sarebbe quello di creare un personaggio che, a parte resuscitare in più di qualcuno la nostalgica memoria dell’eroico Drittz do’ Urden o di un controverso Erlic di Melnibonè, vagherebbe letteralmente in un mondo sconfinato, perlustrabile persino in barca.
E le parole del team di sviluppo sottolineano quale sia l’ingrediente fondamentale che si sposa con il momento esplorativo: la storia.
In questo capitolo è infatti ancora più predominante il momento della caccia, il cui correlativo oggettivo è ben rappresentato dal Leschen, mostro bipede simile a un alce, protagonista della demo presentata alla Gamescom, intento a terrorizzare la popolazione.
Dare la caccia ai mostri è nella natura di Geralt, ma il recupero delle sue origini di cacciatore non è indolore, se il destino del mostro è intimamente legato a quello di un’ ignara fanciulla, vittima sacrificale necessaria a eliminare la creatura. Ed è nel dubbio, nella scelta morale che investe il protagonista, che si espletano tutta la grandezza e il fascino di The Witcher 3, manifestando il suo intento di rimanere saldamente legato al momento fondante il GdR sin dalle sue origini cartacee, quello di responsabilizzare il giocatore, ovvero di renderlo co-autore della storia.
Con The Wild Hunt, il videogioco di ruolo ribadisce l’importanza della narrazione interattiva come paradigma su cui poggia la possibilità del giocatore di fare esperienza, ribadendo la fedeltà alle meccaniche di stampo ruolistico. Maciej Szczesnik, lead game deisgner, non esita a sostenerlo: “Non puoi più essere un buon GdR, se non permetti di sviluppare il personaggio, se non puoi usare diversi oggetti, se tutto è incentrato sui riflessi: all’atto pratico, diventerà un gioco d’azione con una storia intorno. Lo sviluppo del personaggio, tramite il classico sistema di statistiche e meccaniche, è una componente essenziale del gioco di ruolo”. Gameplay e cornice narrativa si fondono, dunque, fino a creare un unicum che è una realtà virtuale ben strutturata e avente le proprie regole, che lascia la parola, o meglio l’iniziativa, direttamente al protagonista.
Il promettente The Witcher 3: The Wild Hunt sembra scongiurare la deriva action che la game industry ha pesantemente introdotto sul mercato negli ultimi anni, facendosi baluardo del futuro della genuinità del gioco di ruolo e del suo imperituro fascino.
Roberta Tufanari