Six Days in Fallujah, il titolo ritornato dal regno dei giochi morti, sta creando più di qualche noia a Victura, il suo publisher soprattutto per il contenuto del gioco.
Peter Tamte, CEO di Victura, ha affidato a Twitter una dichiarazione che sconfessa in parte ciò che era stato dichiarato circa un mese fa riguardo il contenuto del gioco e il suo non essere un commento politico alle vicende di Fallujah.
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Prima di dirvi per filo e per segno cosa ha dichiarato Victura, andiamo con ordine. Six Days in Fallujah ha iniziato il suo travagliato percorso nel 2009 e da subito era stato accolto da aspre critiche proprio per il tema e l’angolazione scelta: raccontare la guerra in Iraq e in particolare la battaglia di Fallujah prendendo storie vere di soldati rientrati da quell’inferno. Konami, che era publisher del gioco all’epoca, decise di abbandonare tutto e il gioco finì in un cassetto.
Avanti veloce una decina d’anni e Victura e Highwire Games decidono di riprendere là dove Konami aveva mollato e le polemiche sono riemerse. A questo punto, Tamte ha provato a disinnescare la bomba su cui si era seduto affermando, un mese fa più o meno, che non c’era volontà di commento politico in SDIF, che era un gioco che non prendeva fattivamente posizione sui fatti di Fallujha, che per molti sono ancora avvolti da più di qualche ombra, ma che il gioco puntata solo a “far capire ai giocatori le complessità di uno scontro in ambiente urbano“. Tamte si era anche spinto fino a dire che il gioco si incentrava sulle esperienze degli individui sul campo di battaglia e sulle scelte fatte dai politici per mandare quei soldati in Iraq ma che non c’era la volontà di criticare o appoggiare le scelte fatte.
Ora, su Twitter, leggiamo una cosa un po’ diversa: “Le storie di SDIF sono raccontate con il gameplay e con scene di documentario in cui si trovano soldati e civili con esperienze e opinioni diverse sulla Guerra in Iraq. Al momento, 26 civili iracheni e decine di soldati hanno condiviso i momenti più complicati delle loro vite con noi in modo che noi possiamo condividerle con voi, usando le loro stesse parole.”
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Continuando nella lettura, si comprende che il gioco si sta configurando come una sorta di documentario interattivo in cui il giocatore si troverà immerso nelle dinamiche degli scontri mentre ascolterà le voci reali di chi è stato in mezzo a quell’inferno. La cosa più interessante è forse il testo che accompagna il comunicato “Comprendiamo che gli eventi ricreati in Six Days In Fallujah sono inseparabili dalla politica“.
Se anche voi, a questo punto della lettura, è venuto un po’ di mal di mare per le capriole verbali di Tamte vi comprendiamo. A fondo pagina, comunque, trovate tutto il comunicato.
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