Se qualcuno ne avesse mai sentito il bisogno abbiamo un nuovo studio pubblicato su Science Daily che conferma la mancanza di un nesso tra videogiochi violenti e atti violenti nella vita reale.
Lo studio è stato condotto dalla City University di Londra e ribadisce un concetto che, purtroppo, per qualcuno risulta ancora difficile da capire: i videogiochi violenti non generano nei giocatori il bisogno di compiere atti violenti nella vita reale.
La questione sui videogiochi che producono violenza si ripropone purtroppo ogni volta che in qualche angolo del mondo assistiamo ad atti violenti portati a compimento in particolare da giovani. Senza però chiederci se stiamo in realtà guardando il problema dal lato sbagliato.
Soprattutto perché, come ci ricordavano anche i ragazzi del Museo del Videogioco di Avezzano che abbiamo intervistato qualche mese fa, prima dei videogiochi violenti ci sono stati film con le pistole e racconti di guerra ma a quanto pare le generazioni precedenti non sono cresciute particolarmente guerrafondaie. La violenza non può nascere solo perché in un videogioco si imbraccia un fucile o si lanciano granate.
Violenza e videogiochi, il nesso semplicemente non c’è
A dirigere la ricerca è stata la dottoressa Agne Suziedelyte, Senior Lectureral Department of Economics della City, University di Londra. Il metodo utilizzato è quello econometrico per identificare “plausibili legami causa effetto di videogiochi violenti sulla violenza, anziché mettere associazioni”.
Suziedelyte “non ha trovato prove che la violenza contro le altre persone aumenti dopo che un nuovo videogioco violento viene distribuito. I genitori comunque hanno riportato che i bambini più facilmente distruggono cose dopo aver giocato videogiochi violenti.”
Vogliamo a questo punto riportare la dichiarazione che ha accompagnato allo studio: “Presi insieme questi risultati suggeriscono che i videogiochi violenti possono agitare i bambini ma questo essere agitati non si traduce in violenza contro altre persone persone (che è il tipo di violenza di cui ci preoccupiamo di più). Una possibile spiegazione dei miei risultati è che giocare ai videogiochi di solito è qualcosa che si fa in casa dove le opportunità per atti violenti sono minori. Questo effetto ‘incapacitante’ è in particolar modo importante per i ragazzini maschi inclini alla violenza che possono essere particolarmente attratti da videogiochi violenti. Per questo, politiche che pongano restrizioni sulle vendite dei videogiochi ai minori non avranno probabilmente effetti sulla riduzione della violenza”.
In queste poche righe ci sono racchiusi tutti i motivi per cui i videogiochi violenti non generano violenza e anche, soprattutto, il ruolo che la famiglia ha nel momento in cui vengono evidenziati aspetti violenti del carattere dei bambini. Ribadiamo un altro concetto che forse a qualcuno è sfuggito: una fascia di videogiochi dovrebbe essere destinata a un pubblico con una età ben definita. Se è vero che anche i videogiochi destinati ai più piccoli possono avere effetti eccitanti (anche soltanto vedere su uno schermo il proprio personaggio preferito che si muove al proprio comando può avere un effetto eccitante), lo è ancora di più se si lascia un bambino o una bambina piccoli alle prese con un videogioco che non è pensato per il loro livello di comprensione del mondo e che può avere quindi un effetto non controllabile.
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In più la dichiarazione di Suziedelyte chiarisce anche quanto eventuali politiche di restrizione dall’alto potrebbero non avere alcun effetto sulla violenza. Forse un effetto più duraturo potrebbe venire da una maggiore sinergia tra istituzioni che si occupano dell’educazione dei ragazzi e delle ragazze e le famiglie. E magari (in qualche Paese almeno) anche rendere meno accessibili le armi non farebbe male. perchè non sono i giochi violenti a fare le persone violente. Più facile forse che siano le persone violente a gravitare verso i giochi violenti.