Se siete soliti leggere le informazioni del titolo di cui si parla in una recensione, avrete sicuramente notato che il publisher di White Night è Activision: esatto, proprio la stessa compagnia che produce titoli tripla A come Call of Duty, un colosso a cui generalmente piace puntare su brand affermati piuttosto che arrischiarsi in piccoli progetti. Perché dunque ha voluto giocarsela su un prodotto indie come questo? Cos’ha il titolo creato dai francesi OSome Studio di così tanto speciale da spingere qualcuno di così grosso a scommetterci sopra? La risposta non è scontata, e ci vorrà tutta una recensione per spiegarvela nel modo migliore.
Siamo a Boston, all’inizio degli anni ’30, il periodo della Grande Depressione statunitense, delle star del Jazz e del famoso proibizionismo: un uomo senza nome sta guidando la sua auto nel buio della notte mentre scorrono i titoli iniziali del gioco, almeno fino a quando una mistica apparizione sull’asfalto lo fa sbandare causando un incidente. È da questo momento che prenderemo il controllo del protagonista, uscito malconcio dalla macchina e preoccupato per le sorti della figura scansata in strada; addentrandosi in una magione in cerca di aiuto si scoprirà che è (stranamente) abbandonata… almeno in apparenza.
White Night è un survival horror come non ce ne sono più da tempo, con un ritmo molto blando.
White Night si avvale di uno stile grafico più che particolare, essendo totalmente in bianco e nero, e non siamo di fronte soltanto una caratteristica estetica, perché la scelta incide pesantemente sul gameplay: all’interno della villa abbandonata dovremo farci strada tra stanze e corridoi bui, e l’unica fonte di luce (bianco) che avremo a disposizione, almeno inizialmente, saranno dei fiammiferi, senza i quali calerà il buio pesto (nero) e di conseguenza l’impossibilità di proseguire.
Il proseguo della storia che sarà costellato di enigmi basati su giochi di chiaroscuro, dove i fiammiferi, disseminati per le stanze della casa, non sempre basteranno: cercando di scoprire cosa sia successo agli abitanti della villa ci imbatteremo spesso nei fantasmi che la popolano, creature contro le quali saremo totalmente inermi, se non fosse per la luce artificiale, unica “arma” in grado di ucciderle.
Se da un lato lo stile utilizzato si sposa perfettamente con la tipologia di gioco e la storia che racconta, dall’altro le meccaniche non appaiono del tutto solide.
Talvolta infatti saranno presenti interruttori e prese di corrente da attaccare per generare una luce più potente rispetto a quella dei piccoli fiammiferi, che oltre a uccidere le creature maligne tornerà utile per sfruttare i salvataggi, rappresentati dalle poltrone all’interno delle stanze, inutilizzabili se non illuminate a dovere.
Molto presto ci renderemo conto che White Night è un survival horror come non ce ne sono più da tempo, con un ritmo molto blando, tanti enigmi da risolvere con minuziosa attenzione ai particolari e dei nemici inquietanti ma centellinati, anche se il motivo della loro esigua presenza sarà chiaro solo leggendo le decine di libri, appunti e memorie scritte (localizzate egregiamente, aggiungerei) che troveremo nel corso della nostra esplorazione.
Purtroppo White Night non è solo rose e fiori (rigorosamente bianchi e neri): se da un lato lo stile utilizzato si sposa perfettamente con la tipologia di gioco e la storia che racconta, dall’altro le meccaniche non appaiono del tutto solide, come per esempio con le inquadrature fisse che rispondono al movimento del personaggio (in stile Resident Evil 2, per capirci), splendide da vedere ma impacciate quando ci si ritrova a fuggire da un fantasma, con il risultato opposto a quello che volevamo. Di conseguenza qualcuno potrebbe uscirne frustrato e abbandonare anzitempo l’esperienza, dal momento che “l’abbraccio” del fantasma equivale alla morte istantanea, e la morte equivale a dover ripartire dal precedente punto di salvataggio, motivo per cui consigliamo di salvare ogni volta che se ne ha la possibilità, onde evitare bestemmie in diverse lingue per game over di cui non avete colpa.
Qualcuno potrebbe uscirne frustrato e abbandonare anzitempo l’esperienza, dal momento che “l’abbraccio” del fantasma equivale alla morte istantanea.
Un’altra critica che i più potrebbero muovere al gioco è il senso di disorientamento che sopraggiunge in alcuni punti della magione, causati sempre dalle inquadrature molto creative, e il vedere tutto in bianco e nero con un fiammifero che entro pochi secondi si spegnerà non aiuta di certo il giocatore: un altro difetto, se vogliamo, è la scarsa durata del fiammifero stesso, ridotta a qualche secondo, e come se non bastasse per salvare sarà necessario buttare via quello che abbiamo in mano, una scelta abbastanza curiosa…
Tutto questo comunque passa nettamente in secondo piano quando ci troviamo di fronte a un titolo finalmente innovativo, un survival horror di vecchio stampo ma con una trama dalle mille sfaccettature e uno stile che da solo vale (quasi) il prezzo del biglietto, ricordando che stiamo parlando di un titolo indie venduto a €14.99, con il quale saremo intrattenuti per almeno 5-6 ore, anzi anche qualcosa in più se vogliamo ritrovare tutti i manoscritti, utili anche per approfondire la storia.