Ieri vi raccontavamo che Microsoft vuole incentivare l’arrivo di developer PC sul suo Store e oggi arriva la notizia che il developer Wolfire ha denunciato Valve per abuso di posizione dominante nel mercato PC con la piattaforma Steam.
La class action contro Valve, e contro Steam, è stata presentata da Wolfire Games e da due soggetti fisici, William Herbert e Daniel Escobar il 27 aprile nel Distretto di Washington. Al cuore della denuncia ci sarebbero pratiche scorrette nei confronti degli sviluppatori che affidano a Steam i propri titoli.
E tutto gira intorno al famoso 30%, la percentuale che Valve pretende su ogni transazione che avviene su Steam. Nel testo della denuncia si legge che Valve sfrutta anche la sua posizione come principale store di prodotti per PC online per, in pratica, fare ciò che vuole con i publisher. Va ricordato comunque che su Steam la percentuale del 30% può anche scendere fino al 20% in casi di titoli particolarmente performanti.
Rimane però il fatto che Valve si pone, secondo Wolfire, in una posizione dominante nel mercato PC americano e porta avanti tutta una serie di politiche che in realtà sono deleterie sia per i developer sia per i consumatori.
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La denuncia di Wolfire gira intorno al modo in cui Valve, attraverso Steam, tenga per il guinzaglio gli sviluppatori. Oltre a pretendere il 30% da ogni vendita sotto accusa c’è anche il Key Price Parity Provision che in pratica costringe chi sceglie Steam per vendere i suoi titoli a non offrirli a un prezzo più vantaggioso su altre piattaforme. Di conseguenza gli altri store online fanno fatica a guadagnare posizioni e, in un loop, infernale, i developer sono quindi costretti a restare su Steam per vendere.
E, sempre secondo la denuncia, questa policy danneggia non solo i developer ma anche gli utenti perchè, pretentendo sempre in pratica il prezzo migliore (se non si può fare uno sconto su un altro store di questo stiamo parlando), Valve starebbe danneggiando anche i giocatori che così non possono cercare e trovare lo stesso gioco in offerta da qualche altra parte.
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A risentirne è quindi la competitivà delle piattaforme di vendita, che risultano zoppe nella corsa alla preferenza dei consumatori, e ne risentirebbero anche gli utenti che non avrebbero modo di scegliere una piattaforma diversa.
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